quinta-feira, 27 de fevereiro de 2014

Benedetto XVI nel suo discorso del 27 febbraio 2013: La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore”. “Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa (…)non appartiene più a se stesso”.

Socci e i due papi



I DUE PAPI E NOI. COSA STA VERAMENTE ACCADENDO NELLA CHIESA

E’ stato ricordato, l’11 febbraio scorso, l’anniversario della “rinuncia” al papato di Benedetto XVI. Il 28 febbraio sarà un anno dalla fine del suo pontificato. Ma è sempre più misterioso ciò che accadde in Vaticano un anno fa, proprio in questi giorni. E qual è la vera natura del “ritiro” di Benedetto XVI.
SEMPRE PAPA
Nei casi precedenti infatti i papi dimissionari sono sempre tornati al loro status di cardinale o religioso: il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdicò e tornò ad essere l’eremita Pietro da Morrone.
E il papa legittimo Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle Marche.
Visti i precedenti lo stesso portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, durante un briefing con i giornalisti, il 20 febbraio dell’anno scorso, alla domanda “e se decidesse di chiamarsi Pontefice Emerito?”, rispose testualmente: “Lo escluderei. ‘Emerito’ è il vescovo che pure dopo le dimissioni mantiene comunque un legame… nel caso del ministero petrino è meglio tenere le cose separate”.
Le ultime parole famose. Appena una settimana dopo, il 26 febbraio, lo stesso padre Lombardi dovette comunicare che Benedetto XVI sarebbe rimasto proprio “Papa emerito” o “Romano Pontefice Emerito”, conservando il titolo di “Sua Santità”. Egli non avrebbe più indossato l’anello del pescatore e avrebbe vestito la talare bianca semplice.
In questi giorni inoltre Benedetto XVI ha rifiutato il cambiamento del suo stemma pontificio, bocciando sia il ritorno a un’araldica cardinalizia, sia lo stemma da papa emerito. Intende conservare lo stemma da papa, con le chiavi di Pietro.
Che significa tutto questo? Ovviamente è esclusa ogni vanità personale per un uomo che ha dato prova del più totale distacco dalle cariche terrene (del resto qui si tratta di cose teologiche, non certo di beni mondani).
Dunque può esserci solo una ponderata ragione storico-ecclesiale, probabilmente legata ai motivi del suo ritiro (per il quale tanti hanno premuto indebitamente). Ma qual è questa ragione?
PAPA PER SEMPRE
L’unica spiegazione ufficiale si trova nel suo discorso del 27 febbraio 2013, quello in cui chiarì i limiti della sua decisione:
“Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore”.
Attenzione, sottolineo quell’espressione “sempre e per sempre”, perché il Papa poi la spiegò così:
“Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa (…)
 
non appartiene più a se stesso”.
Poi aggiunse testualmente:
Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.
E’ incredibile che una frase simile sia passata inosservata. Se le parole hanno un senso, infatti, qua Benedetto XVI afferma che rinuncia “all’esercizio attivo del ministero”, ma tale ministero petrino, per quanto lo riguarda, è “per sempre” e non è revocato. Nel senso che la sua rinuncia riguarda solo “l’esercizio attivo” e non il ministero petrino.
Quale diverso significato possono avere quelle parole? Io non lo vedo. Per questo ci si deve chiedere che tipo di “ritiro” sia stato quello di Benedetto XVI.
Sempre in quel discorso del 27 febbraio sembrò confermare la distinzione fra “esercizio attivo” ed “esercizio passivo” del ministero petrino.
Disse infatti: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.
Di fatto a queste parole, alle espressioni “per sempre” e “ministero non revocato”, si sono aggiunti poi gli atti di cui abbiamo parlato, ovvero la permanenza del nome Benedetto XVI, della veste, del titolo “Sua Santità” e dello stemma pontificio.
IN COMUNIONE CON FRANCESCO
Peraltro perfettamente riconosciuti da papa Francesco che l’11 febbraio scorso diffondeva questo tweet: “Oggi vi invito a pregare per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande coraggio e umiltà”.
Si tratta di una situazione totalmente nuova nella storia della Chiesa. Nei secoli passati infatti ci sono stati, e più volte, contrapposizioni di papi e antipapi, perfino tre per volta.
Non c’erano mai stati invece due papi in comunione, che si riconoscevano a vicenda. Ho detto “due papi” considerando che uno dei due è il papa precedente, diventato “papa emerito”, e che si tratta di una figura del tutto inedita.
Qual è infatti il suo status teologico? E cosa significa il ritiro dal solo “esercizio attivo” del ministero petrino?
Benedetto XVI, parlando ai cardinali prima del Conclave, ha anticipato la sua reverenza e obbedienza al successore. Tale è in effetti l’atteggiamento di Benedetto verso Francesco. E si è resa visibile la comunione tra i due quando hanno scritto a quattro mani l’enciclica “Lumen fidei”.
Però colpisce il fatto che nel filmato del loro incontro a Castelgandolfo, come pure nella cerimonia tenutasi nei giardini vaticani per benedire la statua di S. Michele, si vedono i due uomini di Dio che si abbracciano come fratelli e non c’è da parte di nessuno dei due il gesto del bacio dell’anello del pescatore. Viene da chiedersi: ma chi è il Papa?
UN SEGRETO FRA LORO
C’è forse un segreto, fra loro, che il mondo ignora? O vanno considerati sullo stesso piano? Sappiamo che così non può essere perché per divina costituzione la Chiesa può avere solo un papa. Ma allora?
Si aprono problemi nuovi e sorprendenti alla luce dei quali alcuni potrebbero anche attribuire significati inattesi a certi gesti di Francesco, come l’essersi presentato sulla loggia di San Pietro solo come “vescovo di Roma”, senza paramenti pontifici o la mancanza del pallio nel suo stemma papale (il pallio è oggi il simbolo dell’incoronazione pontificia avendo sostituito il triregno).
Di certo chi oggi tenta di usare uno contro l’altro fa un atto arbitrario. Del resto certi lefebvriani e i sedevacantisti che contestano l’autorità di Francesco sono egualmente ostili a Benedetto.
La preghiera costante di Benedetto per Francesco e per la Chiesa è forse il grande segno profetico di questo momento storico.
Tuttavia non si può fingere che tutto sia normale, perché la situazione è quasi apocalittica. E non si possono evitare le domande: sulle ragioni delle dimissioni di Benedetto, su quanti le hanno volute, sulle pressioni indebite che le hanno provocate. E sul suo status attuale.
UN’EPOCA MAI VISTA
Nei giorni successivi all’annuncio del ritiro, prima che egli precisasse la sua nuova situazione, anche “Civiltà Cattolica”, come padre Lombardi, aveva fatto una gaffe.
Pubblicò infatti un saggio del canonista Gianfranco Ghirlanda dove si affermava: “È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa”.
In ogni caso non “papa emerito”. E invece Benedetto ha scelto di essere proprio “papa emerito”. Deve esserci una ragione assai seria per decidere di “permanere” così. E le conseguenze sono evidenti. I suoi sono segnali molto importanti mandati a chi deve intenderli e a tutta la Chiesa.
Segnala che egli continua a difendere il tesoro della Chiesa, sia pure in un modo nuovo. E sembra ripetere quanto disse nella sua messa d’insediamento: “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.
Antonio Socci
Da “Libero”, 16 febbraio 2014

La liturgia cattolica è l'irruzione del Cielo sulla terra ed è la porta aperta tra il Cielo e la terra! Nel post-concilio la liturgia è stata trasformata per aderire alla vita degli uomini.

Hanno chiuso il Cielo - Editoriale di "Radicati nella fede", marzo 2014.




HANNO CHIUSO IL CIELO
Editoriale di "Radicati nella fede"
marzo 2014


Hanno chiuso il Cielo
[Editoriale di "Radicati nella fede" - marzo 2014]

È la liturgia che si deve adattare al tempo degli uomini, o è il tempo degli uomini che deve prendere la forma della liturgia cattolica?

Ci sembra che la questione cruciale sia tutta qui.

Un cristianesimo “modernistico” che vede le verità di fede emergere dal profondo della coscienza degli uomini, vorrebbe che la liturgia prendesse le mosse dal vissuto antropologico, dalla vita degli uomini, per celebrare la consapevolezza umana del proprio rapporto con Dio. In fondo è stata questa la linea vincente di questi anni: la liturgia ha sempre di più celebrato l'uomo, anche quando ha celebrato la fede dell'uomo. Insomma, la liturgia si è adattata alla vita del tempo. Risultato? Una tragedia! Dio e le cose eterne praticamente scomparse dalle chiese, per far posto alla fede dei credenti, che esprimono, commentano, interpretano quello che loro vivono nei confronti di Dio. La liturgia riformata parla nel migliore dei casi della Chiesa, ma quasi mai di Dio. E quando parla della Chiesa, lo fa più secondo l'ottica di “Popolo di Dio in cammino” che come “Corpo Mistico di Cristo”.

E guardate che non stiamo parlando di quelle sfacciate para-liturgie tutte sociali e umanamente impegnate dei catto-comunisti degli anni '70... parliamo piuttosto di quelle liturgie, di quelle messe, che oggi vanno per la maggiore nell'ufficialità delle diocesi, dove si parla di fede, di comunità credente, di popolo attorno al suo vescovo; di liturgie che celebrano questa comunità, ma nelle quali non si adora Dio presente e non ci si inabissa nel mistero della redenzione. È una sorta di neomodernismo liturgico che ha superato la tentazione marxista del solo impegno del mondo, ma che parlando di fede si sofferma sui credenti, ma non arriva mai a Dio, a Nostro Signore, alle verità eterne, alla questione della salvezza. È come se ci si fosse accorti che non si poteva andare avanti, come anni fa, in un cristianesimo orizzontale, e si è così approdati all'impegno sociale ecclesiale, per edificare la comunità dei credenti. In ogni caso l'errore è sempre lo stesso: partire dall'uomo e chiudere il Cielo.
Ma l'uomo ha proprio bisogno di questa auto-celebrazione della propria fede, o non è fatto piuttosto per inabissarsi in Dio?

No, la liturgia cattolica è cosa totalmente diversa: è l'irruzione del Cielo sulla terra ed è la porta aperta tra il Cielo e la terra!

Se volete tentiamo di dare due eloquenti immagini contrapposte, che dicono due concezioni diverse, molto diverse del culto: quella di un semplice prete che in una delle tante chiese sparse nell'orbe cattolico celebra, nella quiete della preghiera, rivolto al Crocifisso, l'eterno sacrificio che salva le anime, assistito dalla orante e adorante attenzione dei fedeli, e quella di una rumorosa e festosa comunità, che andando alla messa è preoccupata di “fare comunità esprimendo i propri carismi” (in verità facendo qualcosa perché nelle nuove messe mal si sopporta lo stare fermi) e di mettersi al passo con le direttive dell'operatore pastorale... e che in ultimo farà certo anche la comunione. Sono due concezioni opposte, inconciliabili. Una, quella tradizionale, fa spazio all'azione di Dio, l'altra si sofferma... ma forse, osiamo dire, si ferma all'azione della comunità!

Vedete, le verità di fede non nascono dalla coscienza profonda degli uomini, dal vissuto della comunità che reinterpreta il proprio vissuto alla luce di Dio, ma sono comunicate dalla reale rivelazione di Dio che la Chiesa custodisce e trasmette: la rivelazione discende dal Cielo, non germoglia dalla terra come vorrebbero i modernisti. Così la liturgia porta il Cielo in terra e porta la terra al Cielo. É azione di Dio innanzitutto, e non primariamente azione della Chiesa. La Chiesa riceve l'azione di Dio, la custodisce, la esprime utilizzando certamente tutte le possibilità umane adeguate; salvaguardia la liturgia dalle modifiche errate che possono confondere l'opera di Dio e la trasmette fedelmente custodendola, perché il Cielo resti aperto sugli uomini.

Tutti, praticamente tutti, quando si parla di Movimento Liturgico amano rifarsi a dom Guéranger, il grande abate benedettino che rifondò il monachesimo in Francia dopo la tempesta rivoluzionaria. Con lui si dà inizio al Movimento Liturgico, cioè a quella rinascita dello spirito cristiano che dalla liturgia prende le mosse. Autore prolifico, pensiamo all'Anno Liturgico da lui pubblicato ma non solo, partecipe di tutti i drammi e le battaglie della Chiesa del XIX secolo, ascoltato consigliere di Pio IX... fondatore dell'abbazia di Solesmes.

Ma cosa voleva veramente dom Guéranger? E cosa chiedeva San Pio X, riprendendo con autorevolezza il lavoro del grande benedettino e dando così nuovo vigore proprio al Movimento Liturgico? Volevano che il popolo avesse l'intelligenza delle cose divine (che capisse la liturgia della Chiesa), perché queste penetrassero di nuovo la vita del popolo cristiano. Volevano una grande opera di educazione perché le cose del Cielo tornassero a dare forma alla vita degli uomini.

Ma citiamo dom Guéranger: “I misteri del grande sacrificio, dei sacramenti, dei sacramentali, le fasi del ciclo cristiano così feconde in grazia e in luce, le cerimonie, questa lingua sublime che la Chiesa parla a Dio davanti agli uomini; in una parola tutte queste meraviglie torneranno familiari al popolo fedele. L’istruzione cattolica sarà ancora per le masse il grande e sublime interesse che dominerà tutti gli altri; e il mondo tornerà a comprendere che la religione è il primo dei beni per l’individuo, la famiglia, la città, la nazione e per la razza umana tutta intera” (Institutions liturgiques - seconda ediz., t. III cap. 1, pag. 13).

Guéranger, e con lui Pio X con la sua troppo mal citata “partecipazione attiva”, volevano l'esatto contrario di quello che si è fatto dal Concilio in poi. Nel post-concilio la liturgia è stata trasformata per aderire alla vita degli uomini, la Chiesa nel passato ha invece sempre desiderato che la vita degli uomini prendesse forma dalla liturgia cattolica.

Non volevano un abbassamento della liturgia alla vita meramente naturale degli uomini, ma volevano un innalzamento del popolo ai sublimi misteri.

Cosa se ne fa un uomo di una liturgia che gli parla solo delle sue speranze e delle sue fatiche, che gli parla del suo “senso religioso”, ma che non gli parla mai del Cielo? E’ su questo equivoco che tragicamente è fallito il Movimento Liturgico.

Occorre tornare a Guéranger e al vero San Pio X. Ma, a quando questo ritorno?


Mostrami, Signore la tua via, di padre Tognetti

Mostrami-Signore-la-tua-via-di-padre-Tognetti
L’abbraccio dei due Pontefici nel primo concistoro di Papa Francesco del 22 febbraio scorso è un nuovo documento inedito di questa Chiesa che continua a sorprendere per i suoi segni rivoluzionari e per nulla confortanti. Una cosa è soltanto certa: pur nella sua vetrina apparentemente rassicurante, gli uomini di Chiesa sono deboli, e non solo per i loro numeri, ma perché debolissimi nella difesa della Fede, la quale, in tal modo, non è più in grado di incidere nella vita delle persone.
Sul discorso della debolezza torna utile un prezioso libro di Padre Serafino Tognetti della Comunità dei Figli di Dio, fondata da don Divo Barsotti, dal titolo Mostrami, Signore, la tua via (Edizioni Parva, pp. 145, € 10.00). Sono le meditazioni di un monaco che possiede la ricchezza della Fede e la dona ai fiacchi cattolici dei nostri tempi; sono le benefiche riflessioni di un monaco che vive immerso nelle realtà di Dio e offre le risposte alle inquietudini di fedeli che non trovano più nei pastori le linee guida; sono il nutrimento per anime assetate di Verità alle quali ogni giorno, invece, viene propinato il veleno delle menzogne.
L’autore insegna: «Dobbiamo essere semplici nel trattare le cose di Dio, con i fratelli che sono con noi nella fede e con tutti gli uomini di buona volontà, ma astuti quando abbiamo a che fare con le potenze del mondo. Allora avremo la pace del Signore, la forza che manifestano i martiri, la gioia del cuore che viene dall’amore. Quando uno entra nella potenza di Dio, che è potenza di amore, sente dentro di sé una forza sovrumana» (p. 14).
E a questo proposito riporta uno straordinario episodio accaduto agli inizi del Novecento in Cina, durante la rivoluzione dei Boxers. I rivoluzionari, che volevano distruggere ogni traccia di Cattolicesimo, un giorno entrarono in un villaggio e fecero uscire tutti i suoi abitanti. Misero un crocifisso per terra e diedero un ordine: «Tutti quelli che rientreranno nel villaggio dovranno calpestare questo crocifisso; ciò significherà che voi rinnegate la vostra fede cristiana. Ebbene, chi lo calpesta entrerà nel paese, sarà lasciato in pace e vivrà tranquillamente, ma chi si rifiuterà verrà immediatamente ucciso» (p. 15).
Ai lati del crocifisso furono posti due boia con la scimitarra. Iniziò la tragica processione: alcuni calpestarono il crocifisso e rientrarono nel villaggio, altri si rifiutarono e vennero immediatamente decapitati. Ad un certo punto si presentò un ragazzino di 12/13 anni. I carnefici, racconta Padre Tognetti, mossi da un senso ancestrale di pietà gli dissero: «Entra… dài… facciamo finta di niente». E lui: «No, non voglio entrare, voglio essere cristiano» (p. 15). Ma essi volevano salvarlo: «Su, cammina, fa un salto e scavalca il crocifisso!» (p. 15). Ma l’obiettivo del bambino non era quello di tornare nella sua casa, ma quello di essere pubblicamente riconosciuto cristiano: non si mosse e li guardò immobile e pacifico. Tale atteggiamento infuriò i boia e uno dei due gli afferrò un braccio e lo staccò di netto con un colpo di scimitarra. Il bambino, con l’atroce amputazione, ma con una dolcezza inesprimibile e sovrumana, replicò: «Tagliate pure… ogni pezzo è cristiano» (p. 15). Lo gettarono a terra e lo finirono.
Questo martire aveva ben presente che cosa significava essere cattolico, non solo non rinnegava nulla della sua Fede, ma voleva professarla senza nascondersi, perché «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti» (Mt. 10, 27). Il Signore Gesù non ha detto che l’uomo di Fede si deve confondere nel mondo, nelle sue idee, nei suoi usi, nei suoi costumi (calpestare il crocifisso), oppure deve far finta di niente (non calpestare il crocifisso) e lasciare che errori, inganni, rivoluzioni non permettano l’annuncio della Buona Novella.
San Paolo, che ha mostrato l’unica Via del Signore, è dalla parte del martire cinese: «Dobbiamo dunque temere che, mentre ancora rimane in vigore la promessa di entrare nel suo riposo (di Dio), qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Poiché anche a noi, al pari di quelli, è stata annunziata una buona novella: purtroppo però ad essi la parola udita non giovò in nulla, non essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato» (Eb. 4, 1-2).
Cristina Siccardi

quarta-feira, 26 de fevereiro de 2014

APRESENTAMOS A NOSSA HOMENAGEM A SUA SANTIDADE BENTO XVI : PROMETEMOS CONTINUAR A LEMBRÁ-LO NA NOSSA ORAÇÃO E SEGUIR DIFUNDINDO O SEU RICO MAGISTÉRIO QUE DEIXA COMO HERANÇA PRECIOSA À IGREJA CATÓLICA

 









· Angelus(54)

· ANO DA FÉ(2)


· ao Líbano(2)








· Bento XVI(95)












· Bento XVI.(1)


· BentoXVI(2)



















· discursos(22)



·



























O espírito da liturgia e as razões do Motu Proprio de Bento XVI(1)



· viagens(63)


· video(1)

· Videos(4)