quarta-feira, 1 de janeiro de 2014

Stefano M. Manelli: Questa crisi, che abbraccia tutta intera la vita della Sposa di Cristo, "dipende in gran parte dal crollo della liturgia" avvenuto non nel Concilio, ma nel post-concilio secondo Sua Santitá Benedetto XVI.

Stefano M. Manelli FI. Il 'Summorum Pontificum' per la crescita della vita religiosa



Carissimi,
una recente preziosa citazione di Luisa e il dipanarsi della vicenda dei FI con i frequenti riferimenti a Padre Manelli, mi ha richiamato alla memoria l'occasione in cui ho avuto la gioia spirituale di ascoltarlo, nel corso del 2° Convegno Summorum Pontificum, nell'ottobre 2009, di cui potete leggere qui il mio resoconto di allora, corredato di alcune immagini.
Un intervento di grande spessore quello di P. Manelli, che ci dà la possibilità di cogliere molte luci ed ombre del momento presente. Ne inserisco di seguito uno stralcio della Prima parte, tratto del volume degli Atti pubblicati da Fede e Cultura (p. 75-85) e aggiungo il video con la presentazione di p. Nuara.


IL MOTU PROPRIO SUMMORUM PONTIFICUM
PER LA CRESCITA DELLA VITA RELIGIOSA

P. STEFANO M. MANELLI, F.I.
(Fondatore e Ministro Generale dei Francescani dell'Immacolata)

Introduzione

Per la conoscenza della Divina Rivelazione noi abbiamo le pure acque dell'unica "sorgente", la Sacra Scrittura, che formano il grande "fiume" della perenne tradizione in cammino lungo i secoli e i millenni della vita della Chiesa: tradizione perenne, espressa in maniera mirabile soprattutto dai Padri della Chiesa.

Tra questi Padri della Chiesa, sant'Ambrogio, nel suo Esamerone, scrive così: "La Chiesa, come la luna, ha frequenti i suoi smarrimenti e le sue rinascite, ma proprio in virtù dei suoi smarrimenti crebbe e meritò di ampliarsi... Rifulge la Chiesa non di luce propria ma della luce di Cristo e trae il suo splendore dal Sole di giustizia" (IV, 32).

Parlare dell'immagine e della realtà della "luna" applicata alla Chiesa è certo cosa sconosciuta alla cristianità moderna e potrebbe suonar forse irriverente agli orecchi di chi ad essa guarda come alla luce suprema che illumina il mondo. Ma il santo Vescovo di Milano con la sua penetrante e sorprendente parola aiuta a conoscere più in profondità il mistero ecclesiale.

Due considerazioni occorre trarre dal pensiero ambrosiano. La Chiesa non brilla di luce propria ma, come la luna, riverbera gli splendori del Signore Crocifisso e risorto. Una Chiesa che non propagasse più la luce del suo Fondatore non sarebbe più la "sua" Chiesa, ma altro. La "lunaticità" della Chiesa, espressione adoperata dal Card. Biffi, non deve sorprendere.
Ancora sant'Ambrogio di Milano, con la sua intelligenza chiara e amorosa, scrive che la Chiesa è "ex maculatis immaculata", è senza macchia, ma fatta da uomini peccatori: essa, che non è mai senza peccatori , è sempre in se stessa senza peccati. Nella sua compagine umana dunque essa non può non essere "lunatica" poiché riflette la fragilità e la debolezza dell'umanità decaduta in cammino verso il regno dei Cieli.
"La 'lunaticità' della Chiesa" scrive appunto il Cardinale Giacomo Biffi "si manifesta soprattutto nelle continue oscillazioni davanti a noi della sua luminosità. Come la luna, anch'essa è in sé sempre allo stesso modo `rivestita di sole', ma non allo stesso modo appare al nostro sguardo. Arrivano momenti in cui il fulgore è sottile come una lama e basta appena a indicare una presenza, e momenti in cui ogni luce pare addirittura inghiottita dalla notte: c'è un'ora delle tenebre, anche se non c'è una loro vittoria definitiva"[62].
Memori delle parole e del pensiero del santo Vescovo di Milano, volgiamo ora il nostro sguardo alla realtà ecclesiale nella quale viviamo: diciamo pure, anzitutto, che non è certamente difficile ammettere, oggi, che lo splendore della Sposa di Cristo sta attraversando un'eclissi di proporzioni forse uniche nella sua storia bimillenaria.
Questa crisi, che abbraccia tutta intera la vita della Sposa di Cristo, secondo il Santo Padre Benedetto XVI, "dipende in gran parte   dal crollo della liturgia"[63] avvenuto non nel Concilio, ma nel post-concilio.
Tali parole, riprese in un altro suo testo, si estendono persino al di là dei limiti della Chiesa, per costituire un elemento fondamentale dell'intera vita e di tutto l'ambiente umano: "II diritto e la morale non stanno insieme" scrive ancora il Papa "se non sono ancorati nel centro liturgico e non traggono da esso ispirazione [...]. Solo se il rapporto con Dio è giusto anche tutte le altre relazioni dell'uomo - quelle degli uomini tra di loro e dell'uomo con le altre realtà create - possono funzionare "[64].
Ma dove risiede il fondamento di questa influenza del culto liturgico sulla vita umana in generale? Con parole di luce superna. il Cardinale Ratzínger risponde nel seguito del testo citato: "L'adorazione, la giusta modalità del culto, del rapporto con Dio, è costitutiva per la giusta esistenza umana nel mondo: essa lo è proprio perché attraverso la vita quotidiana ci fa partecipi del modo di esistere del `cielo', del mondo di Dio, lasciando così trasparire la luce del mondo divino nel nostro mondo [...]. (Il culto) prefigura una vita più definitiva e, in tal modo, dà alla vita presente la sua misura. Una vita in cui manca tale anticipazione, in cui il cielo non è più abbozzato, diverrebbe plumbea e vuota"[65].
Per il Papa, dunque, la liturgia della Chiesa diviene il canale privilegiato del governo divino sulla terra, e possiede di per sé una potenza demiurgica che plasma sul suo modello gli eventi mondani, facendosi "misura" alla "vita presente"[66].
Se la liturgia ha un impatto vitale su tutta la vita ecclesiale, si può facilmente immaginare l'incidenza primaria che essa esercita sulla vita religiosa in particolare. La confusione liturgica postconciliare, infatti, si è ripercossa sulla vita religiosa con una tale forza devastante che non di "crescita della vita religiosa" (secondo il titolo della relazione) occorrerebbe parlare, ma piuttosto di "ripresa" e ancor più di "recupero" o di "salvataggio" della vita religiosa. Senza dilungarci su questa tristissima situazione, lasciamo parlare le statistiche perché, per dirla con l'Aquinate, "contra factum non valet argumentum".
Il religioso clarettiano Angel Pardilla, professore al "Claretianum", in un accuratissimo studio dal titolo I religiosi ieri, oggi e domani (Editrice Rogate, Roma, 2007), ha fatto il punto in modo pressoché esaustivo sul primo quarantennio postconciliare, ossia sul periodo 1965-2005, riguardo alle perdite totali e percentuali degli Istituti maschili di diritto pontificio, soffermandosi in modo particolare sui canonici regolari, i monaci, i cosiddetti Ordini Mendicanti, i chierici regolari, le Congregazioni religiose clericali e laicali, e gli Istituti di vita apostolica. Ebbene queste sei tipologie di vita religiosa hanno tutte, senza alcuna eccezione, avuto dei cali drammatici in entrata e dei più o meno grandi abbandoni: gli uni e gli altri non di rado superiori al 50%!
Facciamo alcuni esempi significativi.
I sei ordini religiosi maschili più consistenti nel 2005 (e certamente ancora oggi) erano i Gesuiti (19.850 membri), i Salesiani (16.645), i Frati Minori (15.794), i Cappuccini (11.229), i Benedettini (7.798) e i Domenicani (6.109). I medesimi però nel 1965 avevano ben altri numeri: 36.038, 22.042, 27.009, 15.838, 12.070, 10.091.
Se i religiosi in totale erano 329.799 nel 1965, quarant'anni dopo la chiusura del Concilio ne restavano 214.903. Circa 115.000 religiosi, più di un terzo di tutti i religiosi sono venuti meno in questi quarant'anni di post-concilio: per rifare i 115.000 religiosi perduti in soli quarant'anni, ci vorranno forse diversi secolì[67]
Si aggiunga, infine, che il triste cammino di questa mortifera "retromarcia" continua oggi disastrosamente, sapendo che, ad esempio, i Frati Minori stanno diminuendo di circa 300-400 frati ogni anno, i Gesuiti di circa 400-500 ogni anno. Né ci sono segnali d`inversione" di questa mortifera retromarcia[68].
Orbene, di fronte a questa impressionante ecatombe della vita religiosa, che è avvenuta e che sta ancora avvenendo, il Motu Proprio Summorum Pontificum sembra voler esser davvero un'ancora di salvezza per recuperaree il preziosissimo patrimonio liturgico e spirituale che la tradizione degli Istituti religiosi ha gelosamente custodito per secoli e secoli, manifestando appunto la vitalità e la fecondità perenne del Vetus Ordo sia con la crescita vocazionale negli Istituti, sia con il dono di una teoria di Santi donati alla Chiesa, sia con la fioritura della grande arte sacra (pittura, scultura, architettura), della grande musica, della grande poesia e letteratura: tutto per la gloria di Dio e per l'edificazione del Corpo di Cristo.
È indubitabile, infatti, che esiste un rapporto strettissimo, di primaria necessità e fondamentale valore, fra la vita religiosa e la liturgia, per cui la vita religiosa di ogni istituto non può non dipendere, e quindi essere radicalmente condizionata dalla liturgia, sia nel suo avanzare come nel suo retrocedere.
E se in questo avanzato quarantennio post-concilare la vita religiosa è stata ed è in rovinosa retromarcia, per non dire autodistruzione, non si può nascondere le concrete responsabilità di una liturgia in deficit di consistenza in quello che dovrebbe essere il suo connaturale compito di alimentare e sostenere la vita religiosa.
Riflettiamoci brevemente.

PRIMA PARTE
I. Vita religiosa e liturgia

La vita religiosa è la consacrazione a Dio di tutta la persona, e manifesta nella Chiesa la mirabile istituzione voluta da Dio, quale segno escatologico della vita futura. Ogni religioso porta a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e per questo l'intera sua esistenza, quale offerta-sacrificale, diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità. Tale ininterrotto "culto a Dio" trova appunto la sua manifestazione più piena e completa nella sacra liturgia, che regola e anima ogni giornata della comunità religiosa, con la Santa Messa e con la celebrazione del Divino Ufficio che scandisce le ore stesse della giornata.
In ogni istituto religioso, infatti, la preghiera, nei tempi chiave della giornata, deve occupare sempre il primo posto e deve essere esemplare e fervida in ogni sua espressione. Amare la preghiera, vivere di preghiera, aspirare alla preghiera continua, come comanda il Signore: "Bisogna sempre pregare" (Lc 18,1), come insegna san Benedetto: "Ora et labora" come raccomanda il serafico Padre san Francesco: "Pregare sempre, con cuore puro" (Regola, cap. X), è dovere fondamentale e vitale.
È importante però tener presente che la preghiera più perfetta della Chiesa, e la preghiera più propria dei religiosi, è appunto la sacra liturgia[69].
Basterebbe qui ricordare, fra i molti e santi autori, il beato Dom Columba Marmion, celebre Abate di Maredsous (Belgio), autore di pregiatissime opere spirituali e liturgiche, il quale, nel suo libro dedicato alla vita religiosa, Cristo ideale del monaco, pone il suo accento precisamente sull'importanza fondamentale della vita di preghiera nella vita monastica, e in particolare della preghiera liturgica, evidenziando l'importanza ineludibile non solo della Santa Messa, ma anche dell'Ufficio Divino. Egli afferma infatti che "la recita dell'Ufficio Divino, da san Benedetto chiamato 'Opus Dei', è la preghiera della Chiesa per eccellenza, e ha un privilegio inalienabile e incomunicabile, perché è l'opera dì Dio, compiuta con Gesù Cristo, in suo nome, dalla Chiesa che è la sua Sposa. Per codesta lode, [...] la Chiesa non si accontenta del culto comune a tutti i suoi figli, ma, come sceglie alcuni tra i suoi figli per associarli, particolarmente e con preferenza, al Sacerdozio eterno del suo Sposo, così affida a un'eletta porzione di essi la lode più importante e più apprezzata: sono i sacerdoti e i religiosi che compiono le funzioni in coro. La Chiesa ne fa i suoi ambasciatori presso il trono divino; li sceglie per deputarli al Padre in nome suo e dello Sposo"[70].
La preghiera liturgica, quindi, è la preghiera più propria dei Religiosi, tanto che, si può ben dire, ogni ora della giornata monastica, o della fraternità religiosa, è scandita da essa. Negli Istituti religiosi, infatti, ciò che abitualmente è intesa come "vita comune" comprende come sua prima e speciale espressione proprio la "preghiera in comune", ossia la preghiera liturgica, che diviene l'anima della comunità religiosa. Raccolti in coro, uniti in una sola voce, i religiosi, per l'intera umanità, rendono a Dio il culto che Gli è dovuto.

2. Vita religiosa e Santa Messa


Sicuramente il motivo spirituale ancor più profondo che lega la vita religiosa alla liturgia è, in particolare, la preghiera liturgica per eccellenza, ossia la Santa Messa. Lo stato religioso infatti, seguendo il pensiero di autori spirituali di primaria importanza quali il P. Ludovic Colin e il beato Columba Marmion, ha un legame particolarissimo con il Santo Sacrificio dell'altare.
"Che cosa è ìl religioso?" sì chiede P. Ludovic Colin. E risponde: "Un'ostia. E la vita religiosa? Una messa mistica"[71].
Per ogni religioso, infatti, l'emettere i tre voti significa salire sul Calvario, essere con-crocifisso con Gesù! Il religioso, in realtà, vi deve salire per rendersi una cosa sola col suo Signore Crocifisso, e ogni volta che il sacrificio della croce sì rinnova sull'altare, allora anch'egli rinnoverà il suo sacrificio e si metterà nuovamente sull'altare con la Vittima divina.
L'uomo, in quanto consacrato e votato totalmente a Dio, poiché muore al mondo per vivere in Dio, compie un sacrificio, un vero olocausto. Questo sacrificio, dopo la Messa e il martirio, è il più perfetto, il più gradito a Dìo e il più fecondo per ìl tempo e per l'eternità. E, di fatto, nello stato religioso noi possiamo ritrovare tutti gli elementi costitutivi del sacrificio dell'altare, ossia: oblazione (all'offertorio), immolazione (alla consacrazione), consumazione della vittima (alla comunione).
Il religioso che fa voto di povertà, di castità e d'obbedienza, non solo offre se stesso a Dio, ma la formula stessa dell'offerta vuol essere anche un atto di consacrazione, con cui avviene, potrebbe dirsi, la trasformazione del cristiano in religioso per essere una vittima spirituale e un'ostia santa.
Il religioso, in realtà, con la professione, donandosi, si consacra da se stesso al servizio divino: Dio, a sua volta, ratifica e conferma per l'eternità questa consacrazione. Come è stato giustamente osservato, la professione religiosa è insieme opera dell'uomo e opera di Dio. Dio prende, per così dire, nelle sue mani l'anima che gli si offre, e la benedice: "Accepit in manus suas et benedixit". Questa benedizione non è una parola priva di senso, ma un atto. un'opera di santificazione e di consacrazione.
E la consacrazione comporta l'immolazione e la consumazione totale della vittima. È questo l'aspetto più austero e splendido, il fulcro dello stato religioso. Di fatto, il religioso è, per vocazione. un essere sacrificato, un'ostia viva che si consuma interamente in olocausto d'amore per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime.
"Non si tratta d'immolazione cruenta: qui il sangue dell'anima sta in luogo di quello delle vene; per un sacrificio spirituale basta una morte mistica. Così scrive ad esempio san Francesco di Sales ad una figlia spirituale: «Eccovi, mia cara figlia, in spirito sull'altare consacrato per esservi sacrificata, immolata consumata in olocausto al cospetto del Dio vivente»"[72].
E il nostro Sommo Pontefice, Benedetto XVI, per la celebrazione dell'Anno Sacerdotale in corso, volendo affiancare a: santo Curato d'Ars, modello per i preti, anche un modello di santo sacerdote, per i religiosi, ha scelto san Pio da Pietrelcina, santo dei nostri tempi, Francescano Cappuccino, stimmatizzato sanguinante per cinquanta lunghi anni di vita, da Papa Paolo VI definito felicemente "Rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo", straordinario sacerdote che soprattutto nella celebrazione della Santa Messa appariva, come san Francesco d'Assisi, vera "immagine di Gesù Crocifisso" (dal prefazio della Messa di san Francesco d'Assisi).

3. Vita religiosa e Ufficio Divino

Le preghiere liturgiche superano in valore ed efficacia qualunque altra lode o preghiera od opera buona. E verità incontestabile, e i santi l'hanno ben compresa. Santa Maddalena de' Pazzi, ad esempio, stimava la recita delle Ore canoniche più di qualunque altra devozione privata. Quando una religiosa chiedeva dispensa per attendere all'orazione, rispondeva: "No, figliuola; la ingannerei se glielo permettessi; perché potrebbe credere che codesta sua devozione particolare più onori Iddio e la renda più accetta a sua Divina Maestà; mentre essa è poca cosa comparativamente all'Ufficio che recita con le consorelle".
Così pensano i santi, così parla la fede: l'Ufficio Divino vale più di qualsiasi altra opera; è veramente l'opera di Dio per eccellenza; le altre sono "opera hominum", mentre l'Ufficio Divino è da Dio, come omaggio di lode che da Dio proviene per il Verbo Incarnato, presentato dalla Chiesa in nome di Cristo.
L'Ufficio Divino può diventare, e tale è sovente per alcuni, un vero sacrificio; e allora può dirsi nel senso completo: "Sacrificium laudis" (Sal 49,23). Ciò può avvenire per diversi motivi: anzitutto perché la recita dell'Ufficio (soprattutto l'Ufficio antico) segue norme e cerimonie ben precise a cui bisogna attenersi fedelmente. E ciò costituisce l'aspetto penitenziale della lode di Dio. Inoltre, occorre dominare la mente con un'attenzione amorosa alla divina Salmodia e, a tal fine, sono necessari ripetuti sforzi per vincere l'apatia e la naturale leggerezza. Sono tutti sacrifici graditi a Dio.
A ciò si aggiungono, di solito, le sofferenze occasionate dalla vita comune. Se è uno spettacolo edificantissimo vedere i religiosi riuniti nella preghiera corale, bisogna anche ricordare che ciò importa molti sacrifici, inevitabili e spesso rinnovati, pur non volendo: "Sumus homines fragiles... qui faciunt invicem angustias"[73].
Sull'esempio del divin Maestro, che fu orante fra gli strazi indicibili della crocifissione, il religioso deve saper lodare Dío non solo quando è ripieno di consolazione, ma anche, e soprattutto, quando soffre. Le anime amanti seguono Gesù dappertutto, e lo seguono più volentieri al Golgota che al monte della Trasfigurazione.
Chi restò infatti con Gesù ai piedi della Croce? La Vergine Madre, che lo amava con amore pienamente disinteressato; la Maddalena, la peccatrice alla quale Gesù aveva perdonato molto perché molto amava; e san Giovanni, che aveva la scienza del cuore divino. Tutti e tre rimasero là, al loro posto, quando l'anima del Pontefice supremo, Cristo, offriva per la salvezza del mondo il suo cantico doloroso; gli altri apostoli, invece, e anche san Pietro che aveva fatto tante proteste d'amore a Gesù, erano lontani dal Calvario, pensando magari al monte Tabor dove, invece, sarebbero stati bene: "Bonum est nos hic esse; si vis, faciamus hic tria tabernacula" (Mt 17,4).
La Santa Messa e l'Ufficio Divino, dunque, costituiscono, in sostanza, l'anima della vita religiosa, la divina sorgente a cui ogni giorno il religioso s'abbevera e con cui si rafforza per crescere nella sua vita d'unione col Signore Crocifisso, fino alla perfetta conformità con Lui (cfr. Rm 8,29). Si comprende bene dunque l'importanza che hanno la Messa e l'Ufficio Divino nella vita religiosa in genere e nella vita del singolo religioso in particolare.
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62 GIACOMO BIFFI, Quando ridono i cherubini. Meditazioni sulla vita della Chiesa, Bologna, 2006, p. 114.
63 JOSEPH RATZINGER, La mia vita: ricordi, 1927-1977, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, p. 112.
64 JOSEPH RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001, p. 16.
65 Ibidem.
66 D. VENTURA, "Papa Benedetto XVI e la Liturgia", conferenza tenuta a Bologna, presso la chiesa di S. Maria della Pietà, il 22 febbraio 2009, in occasione del III` anniversario dell'apertura della causa di beatificazione del Servo di Dio Tomas Josef M. Tyn O.P. In linea e in armonia con il pensiero di Papa Ratzinger si vedano gli studi di alto profilo di D. VON HILDEBRAND, Liturgia e Personalità, Brescia, 1948, e di MARTIN MOSEBACH, L'eresia dell'informe, Ed. Cantagalli, Siena, 2009.
67 Questi dati sono anche da mettere in relazione con l'aumento dei battezzati nello stesso periodo, con l'innalzamento contemporaneo, non così lieve, della vita media, per cui, oggi, una buona parte dei religiosi appartengono alla terza età.
68 E le cose vanno ancora peggio nei riguardi delle "religiose", secondo un altro studio dello stesso Autore, ANGEL PARDILLA, Le religiose ieri, oggi e domani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2008.
69 La preghiera liturgica, infatti, come scrive il celebre Abate di Solesmes, Dom Prosper Guéranger, "è la preghiera per eccellenza che riunisce in un solo coro tutte le molteplici voci dei fedeli, è la più gradita all'orecchio e al cuore di Dio, e perciò la più potente. Beato dunque colui che prega con la Chiesa, che unisce i propri voti particolari a quelli di questa Sposa, diletta dallo Sposo e sempre esaudita!" (D.P. GUÉRANGER, L'Anno Liturgico, Introduzione, Alba, 1956). Ugualmente, con parole ardenti, il beato Cardinale Ildefonso Schuster scrive che la preghiera liturgica è "un poema sacro, al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra, e in cui l'umanità redenta nel Sangue dell'Agnello senza macchia, sulle ali dello spirito, si libra a volo altissimo, spingendosi sin presso al trono di Dio [...]. La sacra liturgia non solo rappresenta ed esprime l'ineffabile e il divino, ma per mezzo dei Sacramenti e delle sue formule eucologiche lo produce, a dir così, e lo compie nelle anime dei fedeli, ai quali comunica la grazia della Redenzione. Si può anzi dire che la stessa fonte della santità della Chiesa è tutta compresa nella sua liturgia, cosicché senza i divini Sacramenti, la passione del Salvatore, nella presente economia istituita da Dio, non avrebbe su di noi alcuna efficacia, per mancanza di istrumenti atti a trasmettercene i tesori" (I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum, Torino-Roma, 1929, p. 1).
70 COLUMBA MARMION, Cristo ideale del monaco, Piemme, Padova, 1961, p. 319.
71 LUDOVIC COLIN, Il Culto dei voti, Ed. Padri Redentoristi, Torino Roma, 1952, p• 15.
72 Ivi, p. 23.
73 Basta riflettere poco, infatti, per capire che in paradiso, la Lode di Dio si celebra nell'armonia eterna della gioia traboccante; quaggiù, in questa valle di lacrime, invece, avviene nella sofferenza. Gesù cantò le lodi del Padre non soltanto sul Tabor, ma anche sulla Croce; e sant'Agostino dice apertamente che, sul Golgota, Nostro Signore recitò il Salmo 21 che comincia con le parole: "Deus, Deus mens, respíce in inc: quale me dereiiquisti"; salmo messianico commovente, il quale esprime non solo le circostanze della Passione, ma i sentimenti del nostro Salvatore benedetto. Nelle tenebre del Calvario, fra torture indicibili. Gesù recitava l'Ufficio; e ben più che sul Tabor, Egli dava infinita gloria al Padre, perché soffriva.