domingo, 3 de novembro de 2013

Cosa è la Messa e il suo inimmaginabile valore. LA SANTA MESSA DI SEMPRE. LE ORIGINI APOSTOLICO-PATRISTICHE DELLA MESSA TRIDENTINA.IL RITO ANTICO E LA PURIFICAZIONE DELLA CHIESA

IL RITO ANTICO E LA PURIFICAZIONE DELLA CHIESA

[…] E’ innegabile che la Chiesa soffra oggi una delle crisi più profonde e gravi della sua bimillenaria storia: nella sua fede, nella disciplina, nella pratica religiosa. Non tutto è da attribuirsi ai tempi mutati e al “mondo”: cercare giustificazioni esterne senza affacciarsi all’interno stesso della Chiesa sarebbe un po’ deresponsabilizzante. Del resto, lo ha sottolineato in maniera efficace il Papa (Benedetto XVI – ndr) nel suo viaggio a Fatima: i mali peggiori per la Chiesa vengono dal suo interno stesso, come se per implosione il Demonio volesse farla cadere. E da dove partire, nell'analisi di questa "implosione", se non proprio dalla liturgia, azione con cui la Chiesa rende presente Cristo stesso? Ben si capisce, allora, come la crisi della Chiesa sia intimamente connessa alla crisi della liturgia, come ebbe a dire l’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’, come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero di Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale?”.
Il motu proprio (Summorum Pontificum – ndr) del Santo Padre offre quindi la possibilità di beneficiare dei tesori della liturgia antica e ricuperare così il senso del Sacro e del Mistero, che spesso si è perduto, ridando alla liturgia la dignità che le è propria. […] E’ chiaro, quindi l’auspicio del Papa affinché sia recuperato questo tesoro, innanzitutto per il bene della anime, che vi potranno attingere grazie su grazie. Non si tratta semplicisticamente della ‘messa in latino’ dove il celebrante ‘dà le spalle ai fedeli’: stiamo parlando invece di un rito antichissimo, in cui tutti sono rivolti al Signore e dove si gusta e si sperimenta una Presenza silenziosa che parla la lingua del mistero!
Si impara così che la Chiesa non è un ideale stare in cerchio a guardarsi l’uno in faccia all’altro, chiusi in se stessi, bensì è un popolo che, insieme, compatto, guarda al Sole che mai tramonta, all’Oriente da cui solo viene la salvezza. Il bello è che se non hai un messalino per seguirla, puoi uscire dalla messa antica senza aver capito nulla, ma hai scoperto... di aver capito tutto: parli con Qualcuno usando una lingua che non appartiene all’uso quotidiano - una lingua sacra, sperimenti una centralità che non è del prete né dell’assemblea che partecipa, ma di Colui che è Grande e a cui spetta l’Adorazione. Allora vedi che la liturgia non è questione di comprensione intellettuale e linguistica, bensì di adorazione. Se la liturgia non veicola l’incontro verso Dio e perde conseguentemente la sua sacralità, semplicemente fallisce, non serve, diventa un’evasione inutile, una cabala, mero teatro o, come disse ancora una volta il Cardinal Ratzinger, “una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi. Celebrare se stessi senza neanche rendersi conto di Lui” (Via Crucis 2005).
La difficoltà di tornare ad apprezzare questo tesoro si capisce facilmente, ed è né più né meno la stessa difficoltà che l’uomo di oggi trova nell'aprirsi al mistero della Redenzione. L’uomo del nostro mondo ama il protagonismo, è assolutamente convinto della propria autosufficienza: egli può tutto, non ha bisogno di nessuno, non ha bisogno di nessuno per essere salvato. Egli si salva da sé, con le proprie forze. Così egli mal tollera un rito in cui gli si chiede di mettere da parte questa superbia e di farsi solo adoratore, in ginocchio, del mistero che gli è donato. Eppure, quello che è successo dopo il Motu Proprio di Benedetto XVI sembra andare in una direzione contraria: chi si avvicina, senza pregiudizi e con cuore aperto, alla Messa tradizionale, finisce per innamorarsene. E la spiegazione è semplice: il Dio che parla nel silenzio non intavola discussioni con la mente dell’uomo, sempre restia ad aprirsi al mistero, ma bussa al Suo cuore, risvegliando la nostalgia del sacro. È proprio per questa sua caratteristica, per questo suo andare direttamente al cuore, che la Messa tridentina attira, e attira molto...[…] soprattutto in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di purificarsi e di tornare all’essenziale: preghiera e penitenza, come chiede il Papa, facendo proprio il messaggio della Vergine a La Salette, a Fatima e in molte altre apparizioni del XX secolo. La riscoperta della Messa tradizionale e il suo approfondimento possono aiutare davvero a ‘rimettere ordine’ nel nostro rapporto col sacro, aiutandoci a riconoscere il primato di Dio e dei suoi comandamenti, certi che il Cuore Immacolato di Maria trionferà – secondo il messaggio di Fatima – e che si avvererà il sogno di San Giovanni Bosco, quello in cui egli vide che due colonne salveranno la Chiesa: l’Eucaristia e l’Immacolata!
don Luigi Iandolo (Fonte: FIDES ET FORMA)
 
Cosa è la Messa e il suo inimmaginabile valore
8. Prima però di entrare nel vivo e quindi parlare della grandezza e della bellezza del Rito Romano Antico, diciamo qualcosa in merito alla Messa e alla sua importanza.
9. C’è una bellezza riguardante la celebrazione della Messa che solitamente non viene evidenziata. Ovvero che in essa vengono sospese le categorie dello spazio e del tempo. Molti –soprattutto oggi- non lo sanno…eppure è così.
10. Per spiegare la grandezza della Messa –soprattutto ai giovani- si può fare questo esempio. Bisogna immaginare la possibilità di andare fantascientificamente indietro nel tempo: prendere cioè una sorta di “macchina del tempo” e viaggiare nella storia. Ebbene, la Messa è una sorta di “macchina del tempo” per andare indietro e porsi -veramente e non con l’immaginazione- ai piedi della Croce di Gesù sul Calvario.
11. Spieghiamoci meglio. Gesù è il Dio che si è fatto uomo. In Lui si è realizzata l’unione di due nature (umana e divina) in un unico soggetto (divino). Si sa che la dignità delle azioni è data dalla dignità del soggetto che compie l’azione. Un conto se a passeggiare sotto il proprio palazzo sia un uomo qualunque; un altro se fosse un importante personaggio politico. In questo caso non solo vi affaccereste, ma trovereste chissà quale folla a fare ressa presso il vostro portone. Dunque la dignità delle singole azioni è data dalla dignità del soggetto che le compie. Se il soggetto è umano, le azioni hanno un valore umano, cioè finito; se il soggetto è divino, le azioni hanno un valore divino, cioè infinito. Tornando a Gesù , va detto che ogni sua azione, proprio perché voluta e compiuta da un soggetto divino, ha avuto un valore infinito. Infinito vuol dire che non è esauribile nello spazio e nel tempo.
12. Quando Gesù nell’Ultima Cena ha istituito il Sacramento dell’Eucaristia, ha celebrato la prima Messa e ha anticipato veramente ma non cruentamente ciò che si sarebbe compiuto il giorno dopo sul Calvario. Lo ha potuto fare, perché quel gesto avrebbe avuto un valore infinito; non era e non è esauribile nel tempo e nello spazio. Quel gesto fu anticipato, ma sarebbe stato possibile posticiparlo sempre.
13. Dunque, sull’altare-Calvario si compie realmente, ma in maniera incruenta, lo stesso sacrificio che Gesù compì sulla croce. Infatti sul Calvario la vittima era Gesù; e sull’altare la vittima (hostia) è lo stesso Gesù. Sul Calvario il sacerdote era Gesù che offriva se stesso all’Eterno Padre; sull’altare il vero sacerdote è Gesù che offre se stesso per mezzo del sacerdote altro-Cristo.
14. Ecco dunque la Messa. Mentre ogni preghiera –pur importante– ha sempre un valore finito, perché è l’uomo che prega Dio e si offre a Lui; la Messa ha sempre un valore infinito perché è Dio stesso che si offre al Padre. Facciamo un altro esempio. Prendiamo una bilancia, quella antica, con i classici due piatti. Su un piatto mettiamo tutte le preghiere di questo mondo e sull’altro una sola Messa. Ebbene, la bilancia penderebbe dalla parte della sola Messa. Più azioni finite formano una realtà finita, l’infinito rimane invece sempre infinito. Se queste cose si capissero la gente correrebbe continuamente per partecipare alla Messa. San Pio da Pietrelcina (1887-1968) soleva dire: “Se la gente sapesse cosa è la Messa, dinanzi alle chiese occorrerebbero i carabinieri per governare le folle.” E il Santo Cappuccino diceva ancora: “E’ più facile che il mondo si regga senza il sole, piuttosto che senza la Messa.”
Il Rito Romano Antico
15. Tempo fa, a firma di Corrado Gnerre, venne diffuso uno scritto dal titolo Un breve prontuario per capire la bellezza del Rito Romano Antico. La Circolare di questo mese ne riprende il testo.
16. Nella Messa dell’Antico Rito il sacerdote celebra ai piedi di un altare che è rialzato rispetto al piano dei fedeli perché esso deve rappresentare la collina del Calvario. Dunque, già questo fa chiaramente capire ciò che è davvero la Messa, ovvero la ri-attualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo sulla Croce.
17. Il sacerdote è rivolto verso Dio, con le spalle al popolo, perché agisce come altro-Cristo (in persona Christi) offrendo il Sacrificio all’Eterno Padre.
18. I fedeli sono più in basso in quanto impersonano (in un certo senso) Maria e san Giovanni ai piedi della Croce.
19. Tutta la celebrazione, dunque, si rivolge in maniera verticale, dal basso verso l’alto, dall’uomo a Dio; tutto è orientato verso l’Eterno Padre, tanto i fedeli quanto il sacerdote.
20. Veniamo alla consacrazione. Il testo della consacrazione sottolinea senza equivoci l’attualità dell’azione sacrificale e il ruolo di altro-Cristo del sacerdote. Per esempio: il carattere tipografico (tramite il grassetto) e la punteggiatura (tramite il punto fermo) fanno capire –nella preghiera eucaristica- che la narrazione è distinta dalla consacrazione come azione attuale e realizzazione presente del Mistero. Anche la posizione (“chinato sopra”) e il tono della voce (“segretamente”) del sacerdote mutano dal momento in cui questi riproduce le mosse di Gesù, realizzando in tal modo il miracolo della transustanziazione (la trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo). Dunque, c’è differenza rispetto ad un tono uniforme che potrebbe dare invece l’impressione di una semplice narrazione di un evento e non della sua ri-attualizzazione.
21. Nella consacrazione la frase “Ogni volta che farete ciò, lo farete in memoria di me” è certamente più chiara rispetto all’espressione del Novus Ordo (Nuovo Rito della Messa) dove si dice: “Fate questo in memoria di me”, che più facilmente può essere interpretata come semplice ricordo. L’espressione “questo calice” rispetto al semplice “il calice” è anch’essa indicativa. L’aggettivo dimostrativo “questo” vuole infatti significare che il calice sul quale il sacerdote proferisce la formula consacratoria, non è un calice qualsiasi, ma è misticamente quello stesso calice impugnato da Gesù consacrante, così come l’azione consacratoria del sacerdote è misticamente una sola e medesima con quella di Gesù consacrante.
22. La genuflessione del sacerdote immediatamente dopo la consacrazione di ciascuna delle due Specie, esprime la fede nell’avvenuta transustanziazione a motivo delle parole consacratorie appena pronunciate. Nel Nuovo Rito il sacerdote s’inginocchia una sola volta e non immediatamente dopo la consacrazione, bensì solo dopo aver elevato ciascuna delle due Specie per mostrarle ai fedeli presenti. La genuflessione immediatamente dopo la consacrazione sta a significare che l’Eucaristia non è tale solo se (come affermano i protestanti) vi è la partecipazione dei fedeli, ma già unicamente nel potere ministeriale del sacerdote.
23. Nel Rito Romano Antico il sacerdote, pur non trovando possibilità di inutile protagonismo, compare per quel che è: ministro di Dio avente ontologicamente una qualità che i semplici fedeli non hanno. Non c’è spazio per una confusione tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale e gerarchico del celebrante. Per esempio: il Confiteor iniziale è detto prima dal prete, e poi dall’accolito in nome del popolo. Questa distinzione segna chiaramente la differenza ontologica tra il celebrante e i fedeli.
24. Passiamo alla Comunione. Il fedele si prepara proclamando non una sola volta ma per ben tre volte la propria indegnità, precisamente con queste parole: “O Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”. L’espressione nella mia casa rispetto a partecipare alla tua mensa è sicuramente più chiara per far capire che l’Eucaristia non è semplicemente una mensa (in senso protestante) ma l’entrata di Gesù, vero e vivo, nel fedele.
25. La Comunione si riceve in ginocchio, direttamente in bocca, in posizione di adorazione sottolineando in tal modo il rispetto e la venerazione nei confronti dell’Eucaristia e facendo più facilmente comprendere le verità della Presenza Reale e del Sacerdozio ministeriale. Da una parte, pertanto, si capisce la grandezza incommensurabile di un Dio che viene a trovare dimora nella propria piccolezza; dall’altra, non vi è la possibilità di equivocare pensando che l’Eucaristia sia solo un simbolo, un “pane che deve far ricordare” e basta.
26. La Messa non termina immediatamente dopo la Comunione. In questo modo si fa capire che il Ringraziamento non è a discrezione del fedele, bensì è un atto doveroso e fondamentale per rendere fruttuosa la Comunione stessa.
27. Dopo la Comunione il sacerdote non si siede, gesto (questo) che, al di là delle intenzioni, rischia di essere non molto “educativo” perché potrebbe spingere i fedeli che hanno ricevuto l’Eucaristia a fare altrettanto.
28. La liturgia della Parola non dura di più rispetto alla liturgia eucaristica, centro e apice della Messa; e la Comunione non è relegata all’ultimissima fase del Rito.
29. A proposito del latino. Esso ha la funzione di lingua sacra e solenne e aiuta il fedele a comprendere la grandezza del Mistero che si realizza nella celebrazione: la straordinarietà di ciò che accade sull’altare-Calvario è sottolineato appunto dall’uso di un linguaggio straordinario (fuori dall’ordinario), non quotidiano. Scrive Pio XII nella Mediator Dei: “L’uso della lingua latina è un chiaro e nobile segno di unità (fra i cattolici di tutto il mondo, siano essi italiani o tedeschi, bianchi o neri) e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina”. Su questo punto ritorneremo tra non molto.
30. Una precisazione sui silenzi. I silenzi del Rito Romano Antico fanno adeguatamente capire che il compito del fedele che partecipa alla Messa non è tanto quello di “vocalmente” partecipare quanto di “aderire”. Il modello per eccellenza è la Vergine Maria che ai piedi della Croce non parlava ma condivideva ed offriva. Chi più di Lei ha fatto fruttificare quell’Avvenimento?
31. Insomma, per rendere fruttuoso il Mistero della Messa bisogna condividere e nascondersi piuttosto che apparire. Si tratta di una vera e propria partecipazione cordiale, nel senso di adesione del cuore (dal latino “cor-cordis” che vuol dire appunto “cuore”), piuttosto che di comprensione intellettuale. Da ciò si capisce anche perché il Rito Romano Antico è anche più adatto alla vita religiosa, proprio per l’accentuazione della dimensione contemplativa.
32. Il Concilio di Trento (Sessione XXII - Canoni sul Santo Sacrificio della Messa n.9) dice: “Se qualcuno dicesse che dev’essere condannato il rito della Chiesa Romana, nel quale parte del Canone e le parole della Consacrazione sono pronunciate a bassa voce; e qualora dicesse che la Messa deve essere celebrata soltanto in lingua volgare…sia scomunicato”. Citazione interessante che ci fa capire come siano del tutto inattendibili le critiche che alcuni fanno all’Antico Rito della Messa a causa del fatto che in esso è previsto che in molte parti il sacerdote celebri a voce impercettibile.
Rispondere ad alcune comune obiezioni che solitamente si fanno in merito al Rito Romano Antico
Prima obiezione: anche la Messa Tridentina è stata una novità
33. La prima obiezione riguarda l’affermazione secondo cui anche la Messa Tridentina sarebbe stata una “novità”, e dunque, novità per novità, perché non accettare anche la “novità” del Novus Ordo?
34. In realtà la Messa Tridentina non fu una “novità”, perciò non è giusto definirla “tridentina” . Da qui la preferenza per definizioni come “Rito Romano Antico” o “Rito Gregoriano”. Infatti, ciò che il Concilio di Trento e san Pio V (1504-1572) si limitarono a fare fu una piccola riforma di un rito che aveva origini apostoliche. Insomma, san Pio V non inventò nulla. Questi promulgò sì un messale a seguito del Concilio di Trento, ma in realtà non fece altro che fissare e circoscrivere sapientemente un rito già in uso nel contesto cattolico da secoli e secoli. Un rito che risaliva almeno (è bene sottolineare “almeno) da mille anni, precisamente da papa Gregorio Magno (540-604). Ed ecco perché la definizione precisa è: Rito Romano Antico o Rito Gregoriano.
35. San Pio V con il suo messale guardò in un certo senso indietro. Egli abolì tutti i riti liturgici che non potevano vantare più di due secoli di antichità, a causa del fatto che da tempo serpeggiavano errori dottrinali nella Chiesa; errori che avevano portato all’avvento dell’eresia protestante. Vi era, insomma, il serio sospetto che le novità introdotte nel rito della Messa a partire dall’Umanesimo e dal Rinascimento fossero segnate, almeno implicitamente, dal pericolo di eresia.
36. Così san Pio V salvò tutti i riti più antichi (Ambrosiano, Mozarabico, Cartusiano, Domenicano) e restituì alla Chiesa latina, nella sua purezza di Tradizione Apostolica, il Messale Romano, il cui Canone, per attestazione di tutti risale all’apostolo Pietro. A questo riguardo la Circolare consiglia la lettura di un ottimo articolo di suor Maria Francesca Perillo, FI, dal titolo: Le origini apostoliche della Messa Tridentina.
Seconda obiezione: perché utilizzare la lingua latina?
37. La seconda obiezione riguarda l’uso della lingua latina. Ma perché utilizzare una lingua difficile da capire? Che senso ha utilizzare il latino? Non è meglio l’uso della lingua nazionale?
38. Una risposta a questa obiezione già è presente nella citazione dalla Mediator Dei di Pio XII che abbiamo letta precedentemente.
39. Dal momento che la Messa è il mistero della ri-attuzzazione del Sacrificio di Cristo sul Calvario, presenziando alla Messa si è oltre le categorie del tempo e dello spazio. Si respira l’infinito, si è dinanzi al mistero, si ascolta l’inaudito, si osserva l’inimmaginabile. Ora –parliamoci chiaramente- tutto questo può essere significato da una lingua che è immediatamente comprensibile? Nel mistero della Messa non solo si adatta bene, ma diventa addirittura più naturale utilizzare una lingua straordinaria (cioè non ordinaria) che possa significare più chiaramente il fatto che ciò che sta accadendo è altrettanto straordinario.
40. La liturgia non è uno spettacolo teatrale, nel quale si debba ascoltare e comprendere ogni singola parola. La liturgia serve a farci penetrare, mediante il suo apparato di segni visibili, nelle realtà divine che in essa si celebrano. Per questo il sacerdote si spoglia dei suoi abiti quotidiani e si riveste dei sacri paramenti, per questo la celebrazione segue un rito codificato, per questo i cristiani si riuniscono in un luogo apposito e diverso da tutti gli altri, che è la chiesa.
41. La Messa non va capita, va vissuta. O meglio: va capita relativamente a ciò che avviene in essa, ma –come abbiamo già detto- l’approccio non deve essere di tipo intellettuale, bensì di tipo cordiale, nel senso letterale del termine da cor-cordis che vuol dire “cuore”. Partecipare alla Messa è adesione al Mistero.
42. Il senso dell’actuosa partecipatio (partecipazione attiva), non è tanto nel capire e nel rispondere, ma nel condividere e nell’offrire. Giustamente si dice –e anche questo lo abbiamo già detto- che il modello del vero fedele che partecipa alla Messa è l’Immacolata. Ebbene, Ella sotto la Croce non parlava: condivideva ed offriva.
43. E poi, diciamocela tutta: un tempo la gente non capiva le parole della Messa, però sapeva bene cosa fosse la Messa; oggi tutti capiscono le parole della Messa (sempre che non siano distratti… e molte volte la banalizzazione distrae più facilmente), ma pochi sanno cos’è la Messa. Basterebbe chiedere a tanti ragazzi non “lontani”, praticanti e di oratorio, per accertarsi quanti pochi oggi sappiano cosa sia davvero la Messa.
44. Certamente la parte istruttiva della Messa (letture, omelia, ecc…) deve essere capita e lì va bene la lingua nazionale, ma per il canone no. Paradossalmente per capire il canone, e cioè la grandezza e l’inimmaginabilità di ciò che accade sul Calvario, occorre proprio una lingua che sia fuori del tempo e dello spazio, che meglio esprima il senso del mistero.
45. Fin qui il discorso sensibile, cioè quello legato alla sensazione, che pure ha la sua importanza nel Rito. Ma c’è un’altra cosa che va detta. Proprio Benedetto XVI ha tenuto a precisare quanto nella liturgia la lingua latina sia più idonea. I motivi sono due, entrambi persuasivi, e riguardano la categoria dello spazio e del tempo. Primo: la lingua latina offre una grande utilità relativamente alla categoria dello spazio, infatti rende la liturgia davvero uniforme. Per dirla più semplicemente: o in Italia, o in Germania, o in Papuasia la Messa, se è detta in latino, è sempre identica. Secondo: la lingua latina offre una grande utilità anche relativamente alla categoria del tempo, infatti una lingua che non è più parlata meglio si offre ad esprimere il dogma, che –lo sappiamo- non muta come muta il tempo ma deve rimanere sempre identico.
46. Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia del 22 febbraio 1962 chiedeva non solo di conservare l'uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l'utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria, dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla variazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.
47. Nessun'altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità ed è così aliena dai nazionalismi. La massoneria internazionale, che ha come scopo la creazione di una società cosmopolita che parli un'unica lingua, ha creato di fatto l'esperanto; ma non ha mai pensato di utilizzare per questo fine il latino, in odio alla Chiesa.
48. Ma c’è ancora un terzo motivo che non è da trascurare. C’è chi ha giustamente e suggestivamente detto che la Messa è “una finestra del Paradiso”. Ora chiediamoci: in Paradiso le anime come comunicano? Nella luce e nell’amore di Dio, non certo attraverso le lingue locali. Non si tratta di una comunicazione verbale nel senso comune del termine, ma di una comunicazione universale in Dio. Ebbene, la liturgia è anche prefigurazione di ciò che ancora non è. E se è anche questo (ed è anche questo) deve pur far capire che in Paradiso si parlerà un’unica “lingua”: quella dell’amore effetto della visione beatifica di Dio.
49. Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla comprensione unitaria delle lingue: logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un'unica lingua per tutti. La lingua latina, ricordava Giovanni XXIII, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L'unità linguistica resta un modello e un ideale. Nella predicazione è necessario utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono invece un’unica lingua sacra. C’è un paradosso: la Chiesa rinunziò alla sua lingua proprio quando l’avanzante mondializzazione e globalizzazione avrebbero richiesto un gesto in senso esattamente contrario. Si pensi all’attuale uso della lingua inglese.
Terza obiezione: le parole della Messa devono essere comprensibili
50. Terza obiezione: come la mettiamo con la “partecipazione attiva”? La Messa deve essere capita.
51. A questa obiezione facciamo rispondere Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, che nel suo Il Sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del terzo millennio scrive: “Nella nostra riforma liturgica c’è la tendenza, a parer mio sbagliata, di adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più ‘piatta’. In questo modo, però, l’essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall’eternità.”
Quarta obiezione: la gran parte dei fedeli non lo ama
52. Quarta ed ultima obiezione. Il Rito Romano Antico non è tanto richiesto dai fedeli.
53. Ha scritto giustamente Fabrizio Cannone su Il Settimanale di padre Pio del 25.7.2010: “(…) quando il Novus Ordo Missae fu pubblicato (1969, poi con correzioni di fondo, nel 1970) e la Messa in italiano iniziò ad essere la prassi, in molte zone della penisola, per esempio nelle isole maggiori, ma anche al Sud e nel Triveneto, la frequenza era molto alta, e in pochi anni, talvolta in pochi mesi essa si ridusse drasticamente, fino al 50%. Questo però non incrinò minimamente i nuovi liturgisti nelle loro convinzioni, e ciò è paradossale dato che tra gli obiettivi vantati dalla Riforma , e nel disprezzo sottile per la liturgia antica, c’era proprio l’idea di ‘avvicinarla al popolo’!”
 

LA SANTA MESSA DI SEMPRE/1/Il rito della Messa

Come insegna il Concilio di Trento, la Messa è la ripresentazione del sacrificio stesso della Croce rinnovato misticamente sotto le apparenze del pane e del vino che diventano Corpo e Sangue di Gesù Cristo, tramite il ministero del Sacerdote.
Tale Sacrificio della nuova ed eterna alleanza venne istituito e celebrato per anticipazione nel corso dell’Ultima Cena e realizzato in modo cruento sul Calvario. Messa e Calvario sono dunque il medesimo sacrificio, perché lo stesso Sacerdote offre a stessa Vittima nei due casi.
Se sul Calvario Nostro Signore acquistò i meriti e le grazie per la salvezza del genere umano, è nella Messa che li distribuisce e li applica; e se sulla Croce offrì se stesso senza strumenti, nella Messa utilizza il Sacerdote umano Suo ministro. Quest’istituzione del Sacerdozio, tramite la quale degli uomini partecipano al Sacerdozio del Figlio di Dio incarnato, è contemporanea all’istituzione del Sacrificio, poiché nell’Ultima Cena il Cristo trasmise questo dono ai suoi Apostoli con il comando “Fate questo in memoria di me”.
La Messa è rinnovazione di quel Sacrificio della Croce, e per ciò stesso fa memoria delle sofferenze patite dal Cristo ormai glorioso in quel Venerdì di Parasceve.
Quattro sono i fini del Sacrificio della Croce, e quindi di quello della Messa: la latria o adorazione, cioè l’atto di sottomissione a Dio e di riconoscimento della Sua assoluta sovranità; il ringraziamento per i benefici ricevuti; la propiziazione, cioè la supplica per ottenere il perdono dei peccati anche quanto alle pene che ne derivano, sia per noi sia per i defunti; e l’impetrazione, cioè la richiesta di grazie e di aiuti. Il Sacrificio è offerto a Dio solo, anche se può essere celebrato in onore dei Santi e richiedendo la loro intercessione.
La parte essenziale della Messa è la consacrazione del pane e del vino che diventano il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Questa parte fu istituita da Gesù stesso dopo l’Ultima Cena, il Giovedì Santo, e da sola basta a produrre il Sacrificio della Croce.
Gli Apostoli e la Chiesa hanno aggiunto in seguito numerosi altri gesti e preghiere che servono a far capire meglio quello che succede nella Consacrazione, e ad esprimere le verità della fede concernenti in particolare il Sacrificio stesso, il Sacerdozio e la Presenza reale del Cristo nell’Eucaristia.
Secondo il grado di solennità di questi altri riti, la Messa si suddivide in:
-Messa papale: celebrata dal Papa assistito dal Sacro Collegio dei Cardinali e dalla sua Corte, è il prototipo del rito romano e con essa e la sua storia si spiegano numerosi riti.
-Messa pontificale: è la Messa celebrata dal Vescovo o da altri Prelati superiori con tutti gli attributi della loro dignità e il servizio dei ministri superiori (Diacono, Suddiacono) e di un Prete Assistente. Riduzione della Messa papale, può essere celebrata al Trono o al Faldistorio secondo la dignità del celebrante e il luogo in cui celebra.
-Messa solenne: è quella cantata dal semplice Sacerdote con l’assistenza dei ministri superiori (Diacono, Suddiacono)
-Messa cantata: celebrata in canto dal semplice Sacerdote con l’assistenza dei soli ministri inferiori
-Messa letta, bassa o privata: il celebrante legge la Messa senza canto assistito da uno (o due) inservienti; Vescovi e Prelati possono godere di un’assistenza più completa.
 
 

LE ORIGINI APOSTOLICO-PATRISTICHE DELLA MESSA TRIDENTINA/1

La Messa "tridentina" non è stata inventata da san Pio V né dal Concilio di Trento, ma risale ai tempi apostolici. La Liturgia, infatti, non è l'espressione d'un sentimento del fedele, ma è "la" preghiera ufficiale della Chiesa; è Dogma pregato. Essa racchiude qualcosa di eterno non costruito da mano umana. «Ecce ego vobiscum sum», dice Cristo alla sua Chiesa (Mt 28,20).
Introduzione
Con l'espressione "Messa tridentina" o "Messa di san Pio V", si suole indicare la celebrazione del rito secondo il cosiddetto Vetus Ordo, ossia anteriore alla riforma liturgica post-conciliare. Si tratta di due espressioni improprie, poiché, se è vero che il papa san Pio V promulgò un Messale a seguito del Concilio di Trento in realtà non fece altro che fissare e circoscrivere sapientemente un rito già in uso a Roma da secoli. Esso risaliva, nei suoi elementi essenziali, almeno a mille anni prima, precisamente al papa san Gregorio Magno. Da quest'ultimo pontefice viene anche il nome, più corretto ma non esauriente, di ritogregoriano. Non esauriente perché da san Gregorio Magno, come vedremo, il rito risale ai tempi apostolici per riannodarsi infine all'Ultima Cena e al Sacrificio cruento di Nostro Signore Gesù Cristo, di cui ogni Messa è costante ripresentazione ed incruenta attualizzazione.
È stato giustamente osservato che la Messa, come pure il Breviario antico, non ha autore poiché di gran parte dei suoi testi non si può dire quando abbiano avuto origine e quando abbiano trovato una collocazione definitiva. Ciascuno perciò «percepiva che essa era qualcosa di eterno e non costruito da mano umana» (M. Mosebach). È certo, infatti, che il Messale Romano - come afferma il beato Ildefonso Schuster - rappresenta nel suo complesso «l'opera più elevata e importante della letteratura ecclesiastica, quella che riflette più fedelmente la vita della Chiesa, il poema sacro al quale han posto mano cielo e terra».
« Il nostro Canone - afferma Adrien Fortescue - è intatto, come tutto lo schema della Messa. Il nostro Messale è ancora quello di san Pio V. Dobbiamo ringraziare che la sua commissione sia stata così scrupolosa da mantenere o restaurare l'antica tradizione romana. Essenzialmente il Messale di san Pio V è il Sacramentario Gregoriano, modellato sul libro gelasiano che a sua volta dipende dalla collezione leonina. Troviamo le preghiere del nostro Canone nel trattato De Sacramentis e riferimenti al Canone stesso nel IV secolo. Così la nostra Messa va indietro, senza cambiamenti essenziali, all'epoca nella quale per la prima volta si sviluppò dalla Liturgia più antica. [...] nonostante i problemi irrisolti, nonostante i cambiamenti successivi, non esiste nella Cristianità un altro rito così venerabile come il nostro».
Prima di addentrarci nello specifico del tema, ci par opportuno ricordare e riaffermare alcuni principi fondamentali della sacra Liturgia che sembrano esser caduti nell'oblio con conseguenze così aberranti da ridurre le sacre Sinassi a celebrazioni «etsi Deus non daretur». Il che significa de facto la morte della Liturgia.
Il primo principio è che la Liturgia non è, non è mai stata né potrà mai essere, l'espressione del sentimento del fedele nei confronti del suo Creatore. Essa è invece l'adempimento da parte del fedele di un suo dovere nei confronti di Dio, ch'egli deve esprimere conformemente agli stessi insegnamenti divini. È il cosiddettoius divinum, ossia il diritto di Dio ad essere adorato come Egli ha stabilito. La Liturgia non è una qualsiasi preghiera che il fedele rivolge spontaneamente a Dio, bensì "la" preghiera ufficiale della Chiesa: non v'è in essa nulla da inventare, né da innovare, né da adattare. «La Liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità» (enciclica Ecclesia de Eucharistia n. 52). Essa non è «l'espressione della coscienza di una comunità, del resto sparsa e mutevole». In forza di ciò, la Liturgia cattolica non è e non può essere "creativa". Non lo può essere per la semplice ragione che non è un prodotto umano, ma opera di Dio, come ha ribadito a più riprese il Santo Padre. È interessante evidenziare a questo riguardo come già nel I secolo la Liturgia - benché ancora allo stato primitivo - avesse un proprio ordine che i cristiani ritenevano risalente a Cristo stesso. Il Fortescue nota che fin dal suo nascere la preghiera dei primi cristiani non è mai consistita in incontri organizzati a proprio piacimento. Lo dimostra con evidenza solare la prima lettera di san Clemente ai Corinti in cui si legge: «1. Dobbiamo fare con ordine tutto quello che il Signore ci comanda di compiere nei tempi fissati. 2. Egli ci prescrisse di fare le offerte e le liturgie, e non a caso o senz'ordine, ma in circostanze ed ore stabilite. 3. Egli stesso con la sua sovrana volontà determina dove e da chi vuole siano compiute, perché ogni cosa fatta santamente con la sua santa approvazione sia gradita alla sua volontà. 4. Coloro che fanno le loro offerte nei tempi fissati sono graditi e amati. Seguono le leggi del Signore e non errano. 5. Al gran sacerdote sono conferiti particolari uffici liturgici, ai sacerdoti è stato assegnato un incarico specifico e ai leviti incombono propri servizi [Gli Ordini minori aboliti da Paolo VI, Ministeria quaedam -ndr]. Il laico è legato ai precetti laici» (cap. XL). Sin dal I secolo v'è dunque nel Culto Divino un ordine ben stabilito ed una gerarchia che si ritengono provenire dal Signore.
In secondo luogo la Liturgia si àncora nella Tradizione, che è fonte della Rivelazione al pari della Sacra Scrittura. «La Liturgia - afferma il grande liturgista dom Guéranger - è la medesima Tradizione al suo più alto grado di potenza e solennità»; è «il pensiero più santo della sapienza della Chiesa per il fatto di essere esercitata dalla Chiesa in unione diretta con Dio nella confessione (di fede), nella preghiera e nella lode». La Liturgia, in altri termini, è il Dogma pregato.
I nemici della Chiesa conoscono a fondo questo principio. Essi sanno bene che il popolo di Dio è istruito, anzitutto, dalle e nelle sacre Sinassi. Demolite quelle, è demolita la Fede.
Con sguardo profetico dom Guéranger aveva compreso che l'odio della Liturgia cattolica è un comune denominatore dei vari novatores succedutisi nel corso dei secoli, i quali per attaccare il Dogma cattolico iniziano la loro feroce opera di distruzione dalla Liturgia. «Il primo carattere dell'eresia antiliturgica - scrive - è l'odio della Tradizione nelle formule del culto divino. Non si può contestare la presenza di tale specifico carattere in tutti gli eretici, da Vigilanzio fino a Calvino, e il motivo è facile da spiegare. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova necessariamente in presenza della Liturgia, che è la Tradizione alla sua più alta potenza, e non potrà trovare riposo prima di aver messo a tacere questa voce, prima di avere strappato queste pagine che danno ricetto alla fede dei secoli trascorsi. Infatti, in che modo si sono stabiliti e mantenuti nelle masse il luteranesimo, il calvinismo, l'anglicanesimo? Per ottenere questo non si è dovuto far altro che sostituire nuovi libri e nuove formule ai libri e alle formule antiche, e tutto è stato consumato».
La Tradizione è anteriore alla Sacra Scrittura e abbraccia un campo assai più vasto. Essa è una fonte della Rivelazione distinta dalle Sacre Scritture, fonte che merita la medesima fede (così il Concilio di Trento e il Concilio Vaticano I). San Vincenzo di Lérins (†450 ca) riteneva come genuina tradizione apostolica ciò che soddisfaceva contemporaneamente a tutte e tre le seguenti condizioni: Quod semper, quod ab omnibus, quod ubique, ossia ciò che è stato creduto in ogni tempo, da tutti i fedeli e in ogni luogo.
La Tradizione è presente nella Liturgia, che contiene le preghiere e i riti del culto pubblico e dei Sacramenti. Non a caso sin dai primi decenni del 400 si trova citata la massima "legem credendi lex statuat supplicandi", e cioè la preghiera liturgica (lex supplicandi) sia fonte (statuat) di cognizione teologica (legem credendi).
Questa massima millenaria - sulla quale torneremo - indica la vitale importanza e la grandissima utilità di mantenere inalterata e in uso la Liturgia tradizionale, e in particolare quella della Santa Messa, a salvaguardia della Fede. Indica anche che, con buona pace della creatività e dei presbiteri e dei fedeli, la creazione di nuove liturgie può facilmente corrompere la Fede (e difatti la corrompe) insinuando riti e preghiere privi di quel rigore teologico che ne garantisce un'interpretazione univoca e ortodossa.
In questo senso l'ostracismo al Messale di san Pio V, sintesi ed espressione d'una tradizione millenaria che rimonta - attraverso diversi stadi - ai tempi apostolici. costituisce ancor oggi un evidente segno di quell'odio alla Tradizione che da sempre ha caratterizzato la mente dei novatores d'ogni epoca.
Origine divina della Liturgia
Nella sua celebre opera Le Istituzioni Liturgiche, il venerabile dom Prosper Guéranger, esimio liturgista e abate di Solesmes, afferma essere la Liturgia qualcosa di così eccellente che per trovarne l'origine bisogna risalire fino a Dio stesso: poiché Dio, nella contemplazione delle sue perfezioni infinite, si loda e si glorifica senza posa, amandosi d'un amore eterno. Ma questi medesimi atti, compiuti nell'Essenza divina, hanno avuto manifestazione visibile e propriamente liturgica solo quando una delle tre divine Persone, avendo preso la natura umana, ha potuto rendere i suoi doveri di religione alla gloriosa Trinità.
«Dio - afferma dom Guéranger - ha tanto amato il mondo da donargli il suo unico Figlio affinché Questi lo istruisse nel compimento dell'opera liturgica. Dopo essere stata annunziata e prefigurata per quaranta secoli, una preghiera divina è stata offerta, un sacrificio divino è stato compiuto, e, ancora adesso e per l'eternità, l'Agnello immolato sin dall'inizio del mondo si offre sull'altare sublime del cielo e rende in una maniera infinita all'ineffabile Trinità tutti i doveri di religione, a nome dei membri di cui egli è il Capo».
Bisogna però considerare che - anche prima dell'Incarnazione del Verbo - il mondo non è mai stato senza Liturgia: poiché, come la Chiesa risale al principio del mondo, secondo la dottrina di sant'Agostino, la Liturgia risale a questo medesimo principio.
Nell'Antico Testamento la Liturgia è esercitata dai primi uomini nel principale e più augusto dei suoi atti, il sacrificio. Basti pensare ai sacrifici di Caino ed Abele, a quello di Noè, che lo perpetua dopo il diluvio. Abramo, Isacco, Giacobbe, offrono sacrifici di animali e innalzano pietre per l'altare che adombrano l'altare e il Sacrificio futuro. Poi Melchisedech, avvolto nel mistero d'un Re-Pontefice, tenendo nelle sue mani il pane ed il vino offre un olocausto pacifico, anch'esso figura del Sacrificio di Cristo.
Durante tutta quest'epoca primitiva, le tradizioni liturgiche non sono fluttuanti ed arbitrarie, ma precise e determinate. È evidente che esse non sono invenzione d'uomo, ma imposte da Dio stesso; difatti il Signore loda Abramo poiché aveva osservato non solo le sue leggi e i suoi precetti, ma anche le sue cerimonie.
Quando venne la pienezza dei tempi, il Verbo si fece carne ed abitò in mezzo a noi: Egli venne non per distruggere, ma compiere e perfezionare anche le tradizioni liturgiche. «Dopo la sua nascita, fu circonciso, offerto al tempio, riscattato. Dall'età di dodici anni, adempì la visita al Tempio, e, più tardi, lo si vide frequentemente venire ad offrire la sua preghiera. Compì la sua missione con il digiuno di quaranta giorni; santificò il sabato; consacrò con il suo esempio la preghiera notturna. Nell'Ultima Cena, in cui celebrò la grande Azione liturgica, e provvide al suo compimento futuro fino alla fine dei secoli, iniziò con la lavanda dei piedi, che i Padri hanno chiamato un mistero, e finì con un inno solenne, prima di uscire per andare al monte degli Ulivi. Poche ore dopo, la sua vita mortale, la quale non era che un grande atto liturgico, si concluse nell'effusione del Sangue sull'altare della croce; il velo dell'antico tempio, squarciandosi, aprì come un passaggio ai nuovi misteri, proclamò un nuovo tabernacolo, un'arca d'alleanza eterna, e da allora in poi la Liturgia cominciò il suo periodo completo in quanto al culto della terra» (P. Guéranger). - continua...
Suor Maria Francesca Perillo (Francescani dell'Immacolata) - Fonte: IL SETTIMANALE DI PADRE PIO by CHIESAEPOSTCONCILIO