sexta-feira, 19 de abril de 2013

Brunero Gherardini, Rivoluzione e Concilio: 3. La «Nouvelle Théologie»

 Brunero Gherardini, Rivoluzione e Concilio: 3. La «Nouvelle Théologie»

Pubblico la terza e ultima parte del testo su Rivoluzione e Concilio di Mons. Brunero Gherardini. Qui la Prima parte: Concilio e Sessantotto - Qui la seconda: La Teologia della Liberazione.
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(*) Brunero Gherardini, Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco, Lindau, 2012, ( p.261-269) [vedi anche]. Dopo il primo: Vaticano II. Un discorso da fare con Supplica al Santo Padre rimasta senza esito e il secondo: Il discorso mancato [vedi anche], questo testo riprende e sviluppa i temi più controversi e ci consegna un'analisi chiara e sapiente dei prodromi e degli sviluppi della crisi che stiamo vivendo.
3. La «Nouvelle Théologie»

È evidente che quando s'imbraccia un mitra o si discetta sulle forme politiche della prassi rivoluzionaria, s'è ben lungi dalla «lieta notizia» d'una predicazione ecclesiale fedele alle precise indicazioni di Cristo. È inevitabile, allora, che ci si chieda come e perché, nel concetto d'una teologia della liberazione, abbia il suo posto e non di second'ordine anche la «guerra guerreggiata». Questa, infatti, e non il fedele ascolto della predicazione ecclesiale, è vista come l'unica condizione per assicurar il primato del pane sulla Parola. E questa fu la ragione che spinse i teorici del predetto primato a farlo dipendere dall'analisi marxiana: la prassi innanzi tutto, poi il resto: la prassi, intendo della liberazione, a qualunque prezzo, poi la sua giustificazione teologica. E poiché una prassi non è cristiana se non è promossa o guidata o comunque consentita dalla gerarchia della Chiesa, lo stesso CELAM scese in campo a legittimare l'accennata distorsione che alla prassi posponeva il giudizio teologico.
A tali eccessi la Nouvelle Théologie, che dalla Francia in breve tempo era sbarcata su tutti i litorali del mondo cattolico, non sarebbe mai giunta. Eppure, non credo che sia stata del tutto priva d'influssi sul costituirsi d'una coscienza rivoluzionaria in genere e latino-americana in particolare. È vero che i vescovi dell'America Latina, per loro stessa confessione[26], non avevano una chiara consapevolezza dei loro stessi problemi; ma proprio questo favorì il realizzarsi d'una prassi pastorale e della successiva riflessione teologica, che preparò la seconda e ben nota conferenza generale dei vescovi latinoamericani (Medellin, agosto 1968) la quale, approfondendo il suo tema «La Chiesa nell'attuale trasformazione dell'America Latina alla luce del Vaticano Il», emancipò quei vescovi dalla loro abituale dipendenza dall'Europa e conferì alle loro popolazioni una nuova coscienza di sé.

È vero che in codesto processo di maturazione popolare non si riscontra, almeno in linea retta, una qualche influenza della Nouvelle Théologie; ma è anche vero che quasi tutti i vescovi di quel momento storico, e segnatamente gli uomini di cui si servirono per affrettare la detta maturazione, provenivan dalle università europee, dove avevan assimilato le correnti più spinte in campo filosofico e teologico: Rahner era il loro nume tutelare; Kung e Schillebeeckx esercitavan un'attrazione fatale con la rivendicazione della libertà a tutto raggio; Congar, Daniélou, Chenu, de Lubac e tutta la famiglia della Nouvelle Théologie eran i grandi maestri, oltretutto circonfusi dall'aureola del martirio loro «inflitto» da Ottaviani e da Pio XII.
Ho già accennato all'origine belga della nuova teologia: il suo terreno di coltura fu il convento domenicano di Le Saulchoir, nei pressi di Tournai; il suo principale promotore, o comunque tra i principali, fu il padre Chenu, «reggente degli studi» di Le Saulchoir dal 1932 e deciso innovatore del metodo teologico, nel senso appunto della Nouvelle Théologie: non più astrattezze formali, ma una riflessione analitica dei segni dei tempi per cogliervi l'incidenza della Fede nella storia[27]. Non stava qui, tuttavia, l'elemento dirompente di questa nuova teologia. Anzi, il saper riconoscer i sintomi d'un disegno provvidenziale che di tutto si serve, perfino dei nostri errori, per ricondurre il corso del divenire storico nell'alveo del bello e del buono - della conversione, per esempio, e della santità - fa parte del giudizio teologico. Non ne fa parte, invece, una scuola teologica che si propone l'appianamento del rapporto conflittuale tra modernismo e Chiesa ed auspica «un approccio della Chiesa al modernismo», non già per riportar i transfughi in seno alla santa madre Chiesa, ma per segnar il cammino alla Chiesa stessa verso le note posizioni moderniste[28]. A Le Saulchoir Chenu ebbe degni eredi e continuatori: Y. Congar, H.-M. Feret ed un ben nutrito manipolo d'allievi e di seguaci. Son nomi da noi già precedentemente incontrati e - specie per quanto riguarda Congar, ispiratore e colonna portante della teologia conciliare - son pure ampiamente ammirati e documentati. Essi costituiscon il braccio domenicano della Nouvelle Théologie, che ebbe l'altro braccio nei gesuiti di Fourvière[29]....