domingo, 9 de junho de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori, Della santa comunione. Ciò che dobbiamo far noi nel ricevere la comunione per ricavarne gran frutto.

S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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  • SERMONE XXXI. - PER LA DOMENICA II. DOPO PENTECOSTE
    • Della santa comunione.


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SERMONE XXXI. - PER LA DOMENICA II. DOPO PENTECOSTE

Della santa comunione.
Homo quidam fecit coenam magnam. (Luc. 14. 16.)

Nel corrente vangelo si legge che un uomo ricco apparecchiò una gran cena: indi ordinò ad uno de' suoi servi che avesse invitati ad intervenirvi tutti coloro che avesse ritrovati per le vie, benché fossero poveri, ciechi o zoppi; e che se ricusassero gli avesse anche forzati a venire: Exi in vias et sepes et compelle intrare, ut impleatur domus mea. E poi disse che niuno di coloro che fossero stati chiamati e non fosse venuto avrebbe più participato della sua cena: Dico autem vobis quod nemo virorum illorum qui vocati sunt gustabit coenam meam. Questa cena è la santa comunione, cena grande, dove sono invitati tutti i fedeli a cibarsi delle carni sacrosante di Gesù Cristo nel ss. sacramento dell'altare: Accipite et comedite, hoc est corpus meum3. Tratteniamoci dunque oggi a considerare

Nel punto I. Il grande amore che Gesù Cristo ha dimostrato a noi nel darci se stesso in questo sacramento;

Nel punto II. Ciò che dobbiamo far noi nel riceverlo per cavare gran frutto dalla comunione.

PUNTO I. Il grande amore che Gesù Cristo ha dimostrato a noi nel darci se stesso in questo Sacramento.

Sciens Iesus quia venit hora eius, ut transeat ex hoc mundo ad Patrem; cum dilexisset suos qui erant in mundo, in finem dilexit eos4. Sapendo Gesù Cristo essere giunta l'ora della sua morte, prima di morire volle lasciarci la prova più grande che potea darci del suo amore, lasciando a noi se stesso nella s. eucaristia. In finem dilexit eos; spiega il Grisostomo, extremo amore dilexit eos. Dice s. Bernardino da Siena che i segni d'amore che si dimostrano in morte restano più impressi alla memoria e si tengono più cari: Quae in fine in signum amicitiae celebrantur firmius memoriae imprimuntur et cariora tenentur. Ma dove gli altri lasciano agli amici un anello o un pezzo d'argento in memoria del loro affetto, Gesù ci lasciò tutto se stesso in cibo in questo sacramento di amore.

Ed in qual tempo Gesù istituì questo sacramento? L'istituì appunto, come notò l'apostolo, nella notte antecedente alla sua morte: Qua nocte tradebatur, accepit panem et gratias agens, fregit et dixit: Accipite et manducate, hoc est corpus meum5. Sicché nello stesso tempo che gli uomini si apparecchiavano a dargli la morte, l'amante Redentore volle farci questo gran dono. Non fu contento dunque Gesù Cristo di dare per noi la vita su di una croce, ma volle prima di morire cacciar fuori, come parla il concilio di Trento, tutte le ricchezze

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del suo amore, lasciandoci se stesso in cibo nella s. comunione: Divitias sui erga homines amoris velut effudit1. Se la fede di ciò non ci assicurasse, chi mai potrebbe credere che un Dio abbia voluto farsi uomo, e poi farsi cibo, per così farsi mangiare dalle sue creature? Quando Gesù Cristo rivelò a' suoi seguaci questo sagramento che volea lasciarci, scrive s. Giovanni, che essi non poteano arrivare a crederlo, e si licenziarono dal Signore, dicendo: Quomodo potest hic nobis carnes suas dare ad manducandum? Durus est hic sermo, et quis potest eum audire2? Ma quel che gli uomini non poteano credere l'ha pensato e fatto il grand'amore di Gesù Cristo: Accipite et manducate, hoc est corpus meum: così disse agli apostoli in quella notte prima di morire, e così dice ora a noi dopo esser morto.

Scrive s. Francesco di Sales: quanto si stimerebbe onorato quell'uomo, al quale il re inviasse dalla sua mensa una porzione del suo piatto? E che sarebbe poi se questa porzione fosse una parte del suo braccio? Gesù nella comunione ci dà non solo una parte del suo braccio, ma tutto il suo corpo nel sacramento dell'altare senza riserbarsi nulla: Totum tibi dedit, così il Grisostomo ci rimprovera la nostra ingratitudine, nihil sibi reliquit. E s. Tommaso dice che Iddio nell'eucaristia ci ha dato tutto quello che egli è, e tutto quello che ha: Deus in eucharistia totum quod est et habet dedit nobis3. Giustamente dunque lo stesso santo chiamò poi questo sacramento, Sacramentum caritatis, pignus caritatis. Sacramento d'amore, perché il solo amore mosse Gesù a farci questo dono e pegno d'amore, mentre se mai avessimo noi dubitato del suo amore, volle egli che in questo sacramento ne avessimo ottenuto il pegno. S. Bernardo di più chiama questo sacramento, Amor amorum, amore degli amori; poiché il Signore colla sua incarnazione si è donato a tutti gli uomini in generale; ma con questo sacramento si è dato a ciascuno di noi in particolare per farci intendere l'amore particolare che serba per ciascuno di noi.

Ed oh quanto desidera Gesù Cristo di venire alle anime nostre nella santa comunione! Questo suo gran desiderio lo dichiarò appunto nel tempo in cui istituì questo sacramento, dicendo agli apostoli: Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum4. Scrive s. Lorenzo Giustiniani che tali parole uscirono dal cuore innamorato di Gesù Cristo, dimostrandoci con quelle l'ardente amore con cui ci amava: Flagrantissimae caritatis est vox haec. Ed acciocché noi spesso andassimo a riceverlo nella santa comunione, ci promette la vita eterna, cioè il paradiso: Qui manducat hunc panem, vivet in aeternum5. All'incontro ci minaccia di privarci della sua grazia e del paradiso se lasciamo di comunicarci: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis... non habebitis vitam in vobis6. Queste promesse e queste minaccie tutte nascono dal gran desiderio che egli ha di venire a noi in questo sacramento.

E perché mai Gesù Cristo ha tanto desiderio che noi lo riceviamo nella santa comunione? Perché gradisce di stare unito con ognuno di

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noi. Nella comunione Gesù si unisce realmente coll'anima e col corpo dell'uomo, e l'uomo con Gesù: Qui manducat meam carnem, egli disse, in me manet, et ego in eo1. Sicché dopo la comunione, dice s. Giovanni Grisostomo, che noi siam fatti un corpo ed una carne con Gesù Cristo: Huic nos unimur, et facti sumus unum corpus et una caro2. Onde esclama poi s. Lorenzo Giustiniani: O mirabilis dilectio tua, Domine Iesu, qui tuo corpori taliter nos incorporari voluisti, ut tecum unum cor, et animam unam haberemus inseparabiliter colligatam! Sicché ad ogni anima che riceve la comunione il Signore dice quel che disse un giorno alla sua diletta serva Margarita d'Ipres: Vedi, figlia mia, la bella unione fatta fra me e te; orsù amami, e stiamoci sempre uniti in amore, e non ci separiamo più. Questa unione che si fa di noi con Gesù Cristo, tutta è effetto, dice il Grisostomo, dell'ardente amore che ha per noi Gesù Cristo: Semetipsum nobis immiscuit, ut unum quid simus... ardenter enim amantium hoc est3. Ma, Signore, tanta intrinsichezza coll'uomo non è decente ad una maestà divina come è la vostra. Ma l'amore non va trovando ragione, egli va dove è tirato, non dove dee andare: Amor ratione caret, et vadit quo ducitur, non quo debeat4. Scrive s. Bernardino da Siena che Gesù Cristo dandosi a noi in cibo volle giungere all'ultimo grado d'amore unendosi totalmente con noi, come si unisce il cibo con chi lo mangia: Ultimus gradus amoris est, cum se dedit nobis in cibum, quia dedit se nobis ad omnimodam unionem, sicut cibus et cibans invicem uniuntur5. Lo stesso spiegò con bella maniera s. Francesco di Sales, dicendo: In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore né più tenero né più amoroso che in questa, in cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per penetrare le anime nostre, ed unirsi al cuore de' suoi fedeli.

Da ciò nasce che non vi è cosa da cui possiamo cavar tanto frutto, quanto dalla comunione. Scrisse s. Dionigi che il ss. sacramento ha una somma virtù di santificare le anime più che tutti gli altri mezzi spirituali: Eucharistia maximam vim habet perficiendae sanctitatis. E s. Vincenzo Ferreri scrisse che più profitta l'anima con una comunione, che con una settimana di digiuni in pane ed acqua. La comunione è quella medicina che insegna il s. concilio di Trento, che ci libera da' peccati veniali e ci preserva da' mortali: Antidotum quo a culpis quotidianis liberemur et a mortalibus praeservemur. Disse Gesù medesimo che chi si ciba di lui che è il fonte della vita riceverà stabilmente la vita della grazia: Qui manducat me et ipse vivet propter me6. Innocenzo III. scrisse che Gesù Cristo colla sua passione ci libera da' peccati commessi, e coll'eucaristia da' peccati che possiamo commettere. L'eucaristia inoltre, dice il Grisostomo, è quella che c'infiamma di amor divino, e ci rende terribili al demonio: Carbo est eucharistia, qua nos inflammat ut, tanquam leones ignem spirantes ab illa mensa recedamus, facti diabolo terribiles7. Spiega s. Gregorio quelle parole della sposa de' cantici: Introduxit

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me in cellam vinariam, ordinavit in me caritatem1. E dice che la comunione è questa cella di vino, ove l'anima resta talmente inebriata di divino amore, che si dimentica e perde di vista tutte le cose create.

Dirà taluno: ma perciò io non mi comunico spesso, perché mi vedo freddo nel divino amore. Risponde a costui il Gersone, e dice: dunque perché senti freddo perciò vuoi scostarti dal fuoco? Anzi perciò più spesso devi accostarti a questo sacramento. Scrive s. Bonaventura: Licet tepide, tamen confidens de misericordia Dei accedas; tanto magis eget medico, quanto quis senserit se aegrotum2. E s. Francesco di Sales nella sua Filotea cap. 21. scrisse: Due sorti di persone debbono spesso comunicarsi, i perfetti per conservarsi nella perfezione, e gl'imperfetti per giungere alla perfezione. Del resto non si dubita che chi vuol comunicarsi deve usar tutta la diligenza per comunicarsi bene, e passiamo al secondo punto.

PUNTO II. Ciò che dobbiamo far noi nel ricevere la comunione per ricavarne gran frutto.

Due cose sono necessarie per cavare gran frutto dalla comunione: l'apparecchio prima di riceverla, e il ringraziamento dopo averla ricevuta. In quanto all'apparecchio, è certo che i santi perciò riportavano gran profitto dalle comunioni, perché attendevano a ben prepararvisi. E da ciò deriva poi che molte anime, con tutte le comunioni che fanno, sempre si vedono colle stesse imperfezioni. Scrive il cardinal Bona che il difetto non è già nel cibo, ma nel poco apparecchio che vi portano: Defectus non in cibo est, sed in edentis dispositione. Due sono le disposizioni principali che deve avere chi vuole comunicarsi spesso. La prima è il distacco delle creature, discacciando dal cuore ogni cosa che non è Dio. Quanto più di terra vi sta nel cuore, tanto meno di luogo vi trova l'amor divino; onde bisogna purgare il cuore dagli affetti mondani, acciocché Dio lo possieda intieramente. Questo fu l'avvertimento che Gesù stesso diede a s. Geltrude per ben comunicarsi: Non altro, le dice, io cerco da te se non che venga a ricevermi vuota di te stessa. Stacchiamoci dunque dal creato e così il nostro cuore sarà tutto del creatore.

La seconda disposizione per ricever gran frutto dalla comunione è il desiderio di prender Gesù Cristo a fine di più amarlo. Diceva s. Francesco di Sales: Si deve ricevere solo per amore colui che per solo amore a noi si dona. Sicché il fine principale delle nostre comunioni ha da essere il crescere nell'amore verso Gesù Cristo. Disse il Signore medesimo a s. Metilde: «Quando ti comunichi desidera tutto quell'amore che mai un cuore ha avuto verso di me, ed io riceverò il tuo amore come tu vorresti che fosse».

È necessario poi anche il ringraziamento dopo la comunione. L'orazione che si fa dopo la comunione è la più cara a Dio e la più fruttuosa per noi. Dopo la comunione dobbiamo trattenerci in affetti e preghiere. Gli affetti non siano solamente di ringraziamento, ma di umiltà, di amore e di offerta di noi stessi. Umiliamoci allora quanto possiamo, vedendo un Dio fatto nostro cibo, dopo che tanto l'abbiamo offeso. Dice un dotto autore che l'affetto più proprio

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di chi si comunica deve essere di stupore, dicendo: Un Dio a me! Un Dio a me! Facciamo anche allora molti atti di amore verso Gesù Cristo; a posta egli è venuto dentro di noi per essere amato; onde molto gradisce sentirsi dire da chi l'ha ricevuto: Gesù mio, io vi amo, e non voglio altro che voi. Offeriamo anche allora a Gesù Cristo noi stessi e tutte le cose nostre, acciocché ne disponga come gli piace, replicando più volte: Gesù mio, voi vi siete dato tutto a me, io mi do tutto a voi.

Oltre gli affetti, dopo la comunione dobbiamo replicar le preghiere con gran confidenza. Il tempo dopo la comunione è tempo in cui possiamo guadagnare tesori di grazie. Dice s. Teresa che Gesù allora sta nell'anima come in trono di grazie, e le dice, siccome disse al cieco: Quid vis ut tibi faciam1? Come le dicesse: Me autem non semper habetis2. Ora che mi tieni dentro di te, cercami grazie; io son venuto dal cielo a posta per dispensarti grazie, cercami quel che vuoi, e sarai consolata. Oh quante belle grazie si perdono da coloro che poco si trattengono a pregar Dio dopo la comunione! Voltiamoci ancora all'eterno Padre, e ricordandoci della promessa fattaci da Gesù Cristo: Amen Amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis3; diciamogli: Dio mio, per amore di questo vostro Figlio che ora tengo dentro il mio petto, donatemi il vostro amore, fatemi tutto vostro. E se ciò diremo con confidenza il Signore certamente ci esaudirà. Chi fa così con una sola comunione può farsi santo.




3 Matth. 26. 26.
4 Ioan. 13. 1.
5 1. Cor. 11. 23. et 24.
1 Sess. 13. c. 2.
2 Ioan. 6. 53. et 61.
3 Opusc. 63. c. 2.
4 Luc. 22. 15.
5 Ioan. 6. 59.
6 Ibid. v. 54.
1 Ioan. 6. 57.
2 Hom. 68. ad pop. Ant.
3 Hom. 61. Ibid.
4 Serm. 143.
5 Tom. 2. serm. 54.
6 Ioan. 6. 58.
7 Hom. 61. ad pop. Ant.
1 Cant. 2. 4.
2 De Prof. Rel. c. 78.
1 Marc. 10. 51.
2 Ioan. 12. 8.
3 Ioan. 16. 23.