terça-feira, 23 de novembro de 2010

Il Cardinale Navarrete ricorda Pio XII e Paolo VI: “Pacelli fu accusato ingiustamente di antisemitismo ma salvò migliaia di ebrei, Montini soffrì molto per essere stato isolato dopo il Concilio”



 
di Bruno Volpe
CITTA’ DEL VATICANO - Ha servito, con assoluta lealtà, ben cinque Papi, da Pio XII a Benedetto XVI. Parliamo del Cardinale Urbano Navarrete Cortés, spagnolo di Camarena de la Sierra, Rettore della Pontificia Università Gregoriana dal 1980, illustre sacerdote gesuita, grande esperto in Diritto Canonico, elevato alla dignità della porpora nel Concistoro del 24 Novembre 2007.
Eminenza, ne avrà di episodi da raccontare dopo una vita intera spesa al servizio della Chiesa…
“Di storie e aneddoti ne ho tanti ma, se permette, vorrei focalizzare l’attenzione su due Pontefici che mi stanno particolarmente a cuore, Pio XII e Paolo VI, ovviamente senza voler minimizzare il ruolo e l’affetto che nutro verso gli altri”.
Procediamo in ordine cronologico e partiamo da Pio XII.
“Sul suo conto sono state, purtroppo, dette e scritte tante calunnie e inesattezze storiche che bisognerebbe sfatare una volta per tutte. Mi riferisco, ad esempio, al suo presunto antisemitismo: una falsità che grida vendetta! Io stesso sono a conoscenza di un fatto inedito e sin qui mai pubblicato…”.
Ci dica pure…
“Quando divenni Rettore, alcuni docenti un po’ più avanti di me negli anni mi riferirono che Papa Pacelli, durante la seconda guerra mondiale, aveva disposto e ordinato, sottolineo ordinato, di far rifugiare gli ebrei nei sotterranei dell’Università Gregoriana per salvare loro la vita. Dico io, questo intervento provvidenziale di Pio XII, può mai essere compatibile con un’accusa di antisemitismo?”.
Eppure, si è spesso denunciato il cosiddetto ‘Grande Silenzio’ di Pacelli davanti alla Shoah.
“Siamo seri! Che altro poteva fare? Il suo non era un silenzio di avallo, ma un atteggiamento di saggia prudenza dettato da quel contesto storico. La verità è che Pio XII scelse il male minore, il silenzio pubblico, solo ed esclusivamente per non danneggiare gli ebrei e per evitare che i nazisti infierissero su di loro con ancora maggiore ferocia. Anche questo prova che Pacelli non fu mai antisemita e perciò, pur rispettando i tempi e le decisioni della Chiesa, non vedo l’ora che venga portato all’onore degli altari”.
Passiamo al Servo di Dio Paolo VI.
“L’ho conosciuto personalmente e posso garantire sulla sua santità. Era preciso, pignolo, curava con zelo e attenzione ogni particolare. Come dire, era bello ma anche difficile lavorare con lui”.
Che carattere aveva Papa Montini?
“Solitario e taciturno. Ma dopo il Concilio Vaticano II si sentì ferito, attaccato, e in un certo senso non fu più lui”.
In che senso?
“Accusò il peso della situazione post-conciliare, si sentì messo sotto attacco e accusato anche da parte di certe fazioni cosiddette progressiste della Chiesa. Le assicuro che fu una gran pena per lui”.
A Suo avviso, Paolo VI cosa intendeva dire con l’espressione “fumo di Satana nella Chiesa”?
“Mi ricollego al discorso di prima. Questa frase fu pronunciata dopo il Concilio, quando la vita gli diventò impossibile. Ecco, allora, che nella sua visione, la presenza del fumo di Satana nella Chiesa consisteva nelle logiche ribelli di certe strutture ecclesiastiche che lo avevano abbandonato lasciandolo completamente da solo”.
Cosa pensava, in sintesi, Paolo VI del Concilio Vaticano II?
“Che non andava interpretato come un atto di rottura con il passato. Anzi, sosteneva che era sbagliato qualificarlo come una sorta di rivoluzione, bensì spronava a ‘leggerlo’ nel segno della continuità e della tradizione della Chiesa”.
Parliamo della ‘creatività liturgica’, la madre di tanti abusi durante la Santa Messa…
“Uno dei motivi di tristezza di Paolo VI fu proprio l’opinione di molti autorevoli esponenti ecclesiastici che dopo il Vaticano II avevano ordinato una specie di ‘rompete le righe’, tagliando così nettamente con il passato. Così, con la cosiddetta ‘creatività liturgica’ si coprirono e avallarono a torto i capricci e le vezzosità di sacerdoti che pensavano di avere in mano la Chiesa”.
Spera nella beatificazione in tempi rapidi di Pio XII e di Paolo VI?
“Per me sono già Santi entrambi per quello che hanno fatto e soprattutto per le calunnie che hanno subito a causa della loro Fede. Detto questo, non posso che rimettermi alla saggezza della Chiesa”.
Benedetto XVI, con il Motu Proprio ‘Summorum Pontificum’, ha liberalizzato la Santa Messa secondo i libri liturgici di San Pio V. Condivide?
“Certo. Il Papa ha compiuto un atto di onestà intellettuale e di saggezza, oltre che di libertà e giustizia. Perchè mai, mi domando e chiedo, nel nome di un assurdo modernismo, un rito che aveva allevato generazioni di fedeli doveva essere messo al bando? Credo che i tradizionalisti abbiano tutto il diritto a celebrare, in comunione con il Successore di Pietro, la Santa Messa secondo il rito antico, tanto più che ciò non toglie nulla al Novus Ordo”.
In sincerità: trova che il rito di San Pio V garantisca maggior solennità, spiritualità e mistero alla Messa?
“Chiarisco. Non ho nulla contro il Messale di Paolo VI, e lo ritengo valido al pari di quello di San Pio V. Ma la Messa di San Pio V, effettivamente, con l’uso del canone romano al posto della più sbrigativa formula del canone numero due, è maggiormente rivolta a Dio. Penso, poi, che quella di San Pio V sia una Messa che realmente cerca Dio e, rispetto al Novus Ordo, mi sembra anche più completa dal punto di vista delle preghiere”.
La Comunione nella mani: qual è la Sua opinione?
“Credo sia meglio amministrare l’Eucaristia sulla lingua per evitare, ad esempio, il contatto tra la particola, o frammenti di essa, e le mani sporche. Sono dell’opinione che nel dare la Comunione nelle mani si è stati, all’epoca, un po’ precipitosi: era necessaria una maggior catechesi, anche perché la fretta fa nascere i gattini ciechi…”.

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